La zuppa lanciata su eredità e donazioni

Sta creando qualche battibecco politico, e sarebbe persino strano se così non fosse, la presentazione, svoltasi a Berna martedì scorso, di una ricerca riguardante i futuri scenari climatici nella Confederazione. In poche e stringate parole, «farà più caldo, si avrà meno neve e le piogge saranno più forti e imprevedibili». Queste, almeno, le conclusioni dell’Ufficio federale di meteorologia e climatologia (cioè MeteoSvizzera) e del Politecnico federale di Zurigo. Ci sia permesso: nulla che non fosse già nell’aria, anche a occhi profani. Per averne riprova basterebbe seguire sulle pagine dei giornali, ormai ogni estate, le cronache sul gran caldo e sui condizionatori a ruba e, ormai ogni inverno, le cronache sulle stazioni sciistiche ticinesi più in difficoltà che in passato (decenni fa la sciata di Carnevale era assicurata). O ancora, purtroppo, i racconti drammatici delle alluvioni (che l’anno scorso hanno colpito pure, e pesantemente, Vallemaggia e Mesolcina). Insomma, non giriamoci intorno: al netto di un’epoca che mette ansia per tutto, e anche senza appoggiarci stabilmente a previsioni scientifiche, il clima sta diventando, se non un problema, certo un’apprensione per tutti noi. Siamo pure diventati meno propensi, rispetto ai nostri antenati, ad accettare con un po’ di fatalismo quel che manda il cielo. In tutto questo, si vorrebbe almeno che il clima non diventasse un pretesto per promuovere ideologie di parte, magari a suon di proclami apocalittici, e per campagne elettorali ad ampio raggio.
Alla presentazione della ricerca era presente anche la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider, poiché i «nuovi scenari» contenuti nel rapporto andranno a costituire la base della strategia del Consiglio federale per l’adattamento ai cambiamenti climatici. E qui alcuni partiti hanno sentito profumo di propaganda. L’UDC cantonale, attraverso un post del presidente Marchesi, ha denunciato che non era proprio il caso, a pochi giorni dal voto del 30 novembre, che l’Amministrazione federale o aziende collegate si mettessero «a fare allarmismo e a dipingere scenari catastrofici per cercare di condizionare l’esito del voto» sull’Iniziativa per il futuro, promossa dalla Gioventù socialista. La quale, dal canto suo, se la prende, ça va sans dire, con i super-ricchi che, con i loro jet privati e i loro yacht, «in poche ore sono responsabili di più emissioni di quante ne produciamo noi in tutta la nostra vita».
Siamo dunque alle solite. La crisi climatica, la cui percezione peraltro varia da Paese a Paese, è di nuovo, e per l’ennesima volta, occasione di scontro ideologico e fiscale. Questa volta, anziché sui «Girasoli» di Van Gogh, si vuol tirare la zuppa di pomodoro sulle eredità e sulle donazioni superiori a 50 milioni di franchi e si chiede di tassarle al 50%, partendo dal presupposto, si legge testualmente sul sito dell’iniziativa, che «i super-ricchi sono i responsabili della crisi climatica». Accuse forti, circoscritte, e scientificamente ardite (eufemismo). Sarebbe decisamente meglio affrontare la crisi climatica come una sfida culturale che riguarda l’intera società. «Adattarsi non basta» ha detto Baume-Schneider a commento del rapporto. Anche imporre nuove tasse non basterà, ci permettiamo di aggiungere, soprattutto se i provvedimenti che si studieranno per proteggere il nostro ambiente, le nostre città e la nostra agricoltura dalla crisi climatica non saranno capiti e condivisi da tutti, ricchi e poveri.

