L'editoriale

L'immobilismo da evitare per la scuola ticinese

È quasi inutile ripetere che il Ticino di oggi non è quello degli anni Settanta, e ora, considerato che l’ultima riforma risale al lontano 2003, a vent’anni di distanza è giunto il momento di agire
Paolo Gianinazzi
07.02.2023 06:00

L’ultima grande riforma della scuola dell’obbligo ticinese risale agli anni Settanta. È ormai trascorso quasi mezzo secolo da quando il Gran Consiglio, il 20 ottobre del 1974, decise di dire addio alla «maggiore» e al «ginnasio», dando alla luce la Scuola Media unica. Con il passare dei decenni, si sono susseguiti alcuni piccoli cambiamenti, certo non delle vere riforme. Alla fine degli anni Ottanta, le sezioni A e B sono state sostituite dai livelli 1 e 2 in tre materie: matematica, tedesco e francese. Qualche anno dopo, i «livelli 1 e 2» sono stati sostituiti dai «corsi di base e corsi attitudinali». Nel 2003 è poi entrata in vigore la «Riforma 3», che non ha apportato grandi cambiamenti, se non quello di limitare i corsi A e B a due materie (matematica e tedesco). Nel 2013 è stato lanciato il progetto «La Scuola che verrà», affossato dal popolo nel 2018. E siamo alla storia recente: la bocciatura in Parlamento, per soli due voti, del nuovo progetto del DECS basato sui Laboratori, e la nuova proposta sulla codocenza, di cui la politica sta discutendo in questi mesi.

Tutto ciò, per dire che cosa? Che la scuola non può e non deve stare ferma. Deve adattarsi alla società che, fuori dalle aule, cambia con sempre maggior velocità. È quasi inutile ripetere che il Ticino di oggi non è quello degli anni Settanta. E ora, considerato che l’ultima riforma (comunque di minore entità) risale al lontano 2003, a vent’anni di distanza è giunto il momento di agire. La politica, alla ricerca di un modello «perfetto», non può rimanere ostaggio di infinite discussioni che non portano a nulla. Ma – va anche detto – la scuola non deve neppure essere ostaggio di sé stessa: troppe volte abbiamo letto di resistenze interne ai cambiamenti. Resistenze certo legittime (ci mancherebbe altro) e comprensibili, ma che, pur mosse da buone intenzioni, concretamente non hanno fatto altro che produrre, anche in questo caso, immobilismo. E se in Parlamento non è certo il momento per parlare di una vera riforma come quella del ’74, è perlomeno positivo che negli ultimi mesi si stia assistendo a un’accelerata su due temi cruciali: il superamento dei livelli e il potenziamento del tedesco. Due temi su cui c’è un certo consenso, ma non l’unanimità: quasi tutti sono concordi nel dire che il sistema dei livelli va cambiato, ma sul tavolo della politica sono presenti due soluzioni differenti; quasi tutti sono d’accordo nel dire che il tedesco deve avere uno spazio più importante nella scuola ticinese, ma anche in questo caso le opzioni per concretizzare la proposta sono due.

Ora, e veniamo al dunque, l’anticipo del tedesco in prima media è una proposta interessante. Certo, per ovvie ragioni non andrebbe fatto a scapito della matematica o dell’italiano. Ma uno sforzo in più si potrebbe immaginare su altre materie quali l’educazione visiva, l’educazione musicale o quella alle arti plastiche. Non certo eliminando completamente queste materie dalla griglia oraria, ma trovando modalità alternative per recuperarle sull’arco dei quattro anni. Detto ciò, non è nemmeno saggio incaponirsi ritenendo che la soluzione proposta dalla maggioranza (composta da PLR, Lega e UDC) per anticipare il tedesco sia la migliore o l’unica applicabile. Anche la soluzione proposta dalla minoranza del PS e del Centro (in sintesi: potenziare sì, ma non anticipando la materia di un anno) ha pregi indiscutibili. In questa discussione, il risultato peggiore che si potrebbe ottenere sarebbe la bocciatura di entrambe le proposte.

Sul fronte dei livelli, ci sono elementi della proposta della maggioranza (questa volta targata PS, Lega, Centro e Verdi) che lasciano perplessi: in primis il fatto che è molto vaga ed è difficile, oggi, immaginare come sarà concretamente applicata. Altri aspetti, invece, sono interessanti: uno su tutti il fatto che gli istituti potrebbero scegliere tra più modelli. L’ipotesi avanzata, detto altrimenti, non è «perfetta». Ma occorre ribadire che una soluzione «perfetta», che metta tutti d’accordo, non sarà mai trovata. E non va dimenticato che si tratta di una sperimentazione. Il voto in Parlamento (in caso di approvazione) non sarà una sentenza senza appello. I correttivi in corso d’opera saranno ancora possibili. Ecco perché, a vent’anni dall’ultima riforma, occorre un po’ di pragmatismo nel chiedersi: ma se la politica non è nemmeno disposta a sperimentare il superamento dei livelli, come potremmo mai arrivare a un vero abbandono di questo sistema? Non esiste un modello «perfetto» di scuola. Ostinarsi a cercarlo produce solo un immobilismo che la scuola e la società non possono più permettersi.

Correlati
Prove d'intesa per superare i livelli
Firmata da PS, Centro, Lega e Verdi una proposta di sperimentazione «dal basso», su base volontaria, con diversi modelli da poter applicare – PLR e UDC però non ci stanno – Sarà presentato un rapporto di minoranza
L'anticipo del tedesco torna nell'aula della politica
L’ipotesi d’insegnare questa lingua già in prima media sarà discussa oggi in commissione – Intanto, il Consiglio di Stato ha risposto ai quesiti di Ermotti Lepori: «Si dovrebbe intervenire su italiano, matematica o scienze naturali: meglio lo statu quo»