L'editoriale

Nel Far West della Rete tra abusi e illegalità

Nella vicina Italia sta furoreggiando sui media il caso dei siti internet e delle pagine social sessiste – Nonostante internet sia qui da oltre trent’anni, moltissimi utenti ne fanno un uso del tutto irresponsabile, finanche patologico
Paride Pelli
02.09.2025 06:00

Nella vicina Italia sta furoreggiando sui media il caso dei siti internet e delle pagine social sessiste dove si potevano pubblicare immagini di donne (volti noti dello spettacolo o più spesso persone comuni) che poi venivano commentate in modo volgare e offensivo da una platea maschile composta da parecchie migliaia di utenti, compresi i compagni o i mariti di alcune di loro. Com’era purtroppo lecito prevedere, anche per via della comune appartenenza linguistica, uno di questi siti ha «sconfinato» in Ticino, con una sezione dedicata. Il caso sta dunque facendo discutere pure nel nostro cantone, per fortuna in modo più misurato di quanto stia accadendo nella vicina Penisola, dove in pratica è in corso da giorni, sui media e sui social, una vera «guerra tra sessi», se non altro a parole. In questa vicenda, che risorge ciclicamente da quando è stato inventato internet, c’è un aspetto giuridico che riguarda la privacy e un aspetto culturale-sociale che coinvolge tutti noi. Circa il primo, è presto detto: nessuno ha il diritto di prendere una immagine privata o intima di una persona, fosse anche la propria consorte, e di pubblicarla su internet senza il suo consenso. Vale anche per le chat di gruppo private, da cui poi non di rado l’immagine fuoriesce sul web. Questo è un crimine che va perseguito senza se e senza ma, ogni volta che accade. Sappiamo dalla cronaca quanto questi furti e diffusioni di materiale privato possono essere devastanti per la vita e la carriera di una persona. Sono reati, questi, ben più gravi di quanto pensino gli stessi legislatori. In qualche caso, ci sia permesso, andrebbero considerati alla stregua di una violenza fisica.

Il caso dei siti sessisti, però, riguarda in larga parte un altro genere di immagini: quelle già pubblicate di propria volontà altrove, sui social come Facebook o Instagram o addirittura su Onlyfans, dove abbonati pagano per vederle, oppure diffuse liberamente (e legalmente) dai media per motivi di cronaca. Qui purtroppo si apre una vasta gamma di circostanze che vanno dal diritto sulle immagini e sui contenuti (ci sono professionisti che dalla vendita di questi ultimi ricavano il proprio sostentamento) fino al problema dei deep fake, cioè della falsificazione di immagini e di video a partire da un originale di base. Sì, è letteralmente un Far West. Alcuni aspetti sono regolati in Svizzera da una precisa giurisprudenza, altri, specialmente quelli che si appoggiano alle recenti tecnologie come l’Intelligenza artificiale, sono una prateria aperta dove possono correre abusi e diffamazioni di ogni tipo. Le persone comuni sono quelle che ne fanno le spese maggiori, non avendo le risorse delle celebrities, che riescono a trarre vantaggio perfino da questi casi.

E qui arriviamo al secondo aspetto, quello culturale e sociale. Nella vicina Italia il caso dei siti sessisti ha provocato uno tsunami di discussioni divisive che hanno buttato di volta in volta la responsabilità nel campo degli uomini (che andrebbero tutti «rieducati») o in quello delle donne (che hanno pubblicato con troppa leggerezza un’infinità di materiale poi «riciclato»). La magistratura italiana è all’opera per verificare se, in alcuni singoli casi, vi sia una violazione della legge o se si tratti «solo» di una raccapricciante vicenda che però non configura ipotesi di reato. Ma di fatto, come si diceva, si è scatenata una inutile guerra fra i due sessi, intessuta di misoginia e misandria.

In Ticino, invece, si sta muovendo la politica: c’è chi ha chiesto alla Polizia di verificare se vi siano casi passabili di denuncia a tutela delle potenziali vittime, chi vorrebbe una stringente normativa a carattere nazionale, chi invece l’avvio di campagne di sensibilizzazione. A nostro parere, quest’ultima proposta è la soluzione migliore, sebbene tardiva. Perché nonostante internet sia qui da oltre trent’anni, moltissimi utenti ne fanno un uso del tutto irresponsabile, finanche patologico. Contro questo non serve né uno Stato etico né un corpo di «sceriffi del web», ma tanta, tantissima sensibilizzazione, di quelle serie, ragionate e costanti. Un percorso lungo e faticoso, ça va sans dire: ma resta il più valido fra tutti, poiché non comprometterebbe la libertà personale (delle donne e degli uomini di disporre liberamente delle proprie immagini e delle proprie parole) e aumenterebbe il valore del rispetto su internet e, va da sé, nella vita quotidiana. Vista la velocità con cui si diffondono le nuove tecnologie, con strumenti potenzialmente deflagranti e alla portata di tutti, questo sarebbe un programma da varare il prima possibile. Senza illudersi che facendo moralismo spiccio da campagna elettorale si disinneschino tutti i pericoli che si annidano quotidianamente in Rete.

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