L'editoriale

Rispetto e civiltà: le nuove premesse

In attesa di informazioni sulla sostanza dei dazi, ecco cosa è mutato nella forma a Washington
Gianni Righinetti
07.08.2025 06:00

In assenza di un vero e proprio «contrordine» da parte degli USA, dalle ore 6 svizzere, la mezzanotte a Washington, i dazi al 39% non vanno più considerati un’ipotesi, ma una realtà. Ma, in assenza di comunicazioni ufficiali, e con la delegazione rossocrociata ancora all’opera o in volo, si può solo speculare. Come la voce che ha fissato al 15% la base di trattativa lanciata dai nostri negoziatori dell’ultimo minuto, unitamente a non meglio precisati accordi e impegni a fare acquisti «made in USA» per il nostro Paese. Di fronte all’infinità di condizionali che potremmo (appunto) usare in questo frangente, c’è una certezza. La presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e il ministro dell’economia Guy Parmelin hanno trovato nel segretario di Stato Marco Rubio un interlocutore rispettoso e civile. E già non è poco.

Il comportamento del «supermacho» Donald Trump nella telefonata con Keller-Sutter, atteggiamento reiterato nell’intervista spocchiosa e ignorante rilasciata all’indomani, è uno dei punti più bassi nei rapporti tra i due Stati, perché impostato sul piano uomo (essere superiore) e donna (da disprezzare e ignorare).

In questa vicenda siamo un po’ tutti ostaggio degli umori perennemente in disequilibrio di Trump e non sappiamo ancora se quello al quale abbiamo assistito sia stato il punto di svolta. Siamo pure preda di un’isteria collettiva che, se osservata con la lucidità della ragione, non ha ragione d’esistere e che ci rende oltremodo fragili e insicuri. Sorpresi nel dì della festa del Primo agosto, abbiamo dapprima assistito al tiro al piccione, per trovare un colpevole, un capro espiatorio. Una volta identificato nella persona di Keller-Sutter, è partita la spasmodica ricerca del piano B e di chi lo poteva impersonificare, puntando sul «salvifico» Parmelin. Abbiamo letto dotte disquisizioni sui dazi e sul commercio tra Svizzera e USA che si sono inserite nell’escalation tesa a rendere drammatico anche tutto quanto deve essere considerato gestibile. Anche da parte della piccola ma forte Svizzera.

Non a caso vale la pena ricordare l’autorevolezza e l’indipendenza con la quale abbiamo superato la tempesta della pandemia con i suoi drammi economici, ma soprattutto umani per la seria messa in pericolo dei beni più preziosi che abbiamo: la salute e la vita. Il tutto senza subire tracolli e default finanziari. L’isteria, anche mediatica, ammettiamolo, di questi convulsi giorni, ci ha tolto lucidità e misura. Siamo d’accordo che dal profilo economico e commerciale ci troviamo di fronte a dei problemi gravi e a numerose difficoltà. Ma questi si affrontano a testa alta, senza arroganza (che non è nel DNA elvetico), ma forti della consapevolezza di essere comunque partner commerciali anche di altri Stati, di altre realtà. Non solo degli USA. Chi muove corde che innescano macro meccanismi, non si può permettere di non considerare l’effetto-micro, quello che manda in crisi e in confusione cittadini bombardati da cifre, percentuali e roboanti drammatiche visioni. Li deve supportare, rassicurare, mostrare loro delle vie d’uscita e delle soluzioni.

Lo ribadiamo: il nostro settore farmaceutico (ecco la variabile salute che torna prepotentemente alla ribalta), interessa gli USA e i suoi cittadini, che acquistano pure i nostri orologi e gustano la chicca dolce del cioccolato e quella salata del formaggio. Non li vorranno più gli americani? Troveremo altri acquirenti. Non è supponenza, ma autodifesa, finanche autodeterminazione. E quando gli elettori statunitensi si renderanno conto che l’ingordigia trumpiana li avrà privati di qualcosa e che i soldi destinati a riequilibrare la bilancia commerciale andranno a soddisfare bisogni magari non così «nobili», sfonderanno, imbufaliti, la porta di Trump. Il tempo, sempre, è galantuomo.

Il popolo elvetico, il suo tessuto economico e la classe politica, hanno già affrontato crisi più profonde, quando il rischio era bellico e non solo commerciale. Si tende a drammatizzare tutto, è anche l’effetto della comunicazione immediata e non sempre ragionata che corre specie sui social. Ci sono frasi roboanti e negative che trovano facilmente eco dappertutto. Altre, moderate e non ancorate al piagnisteo, che spariscono immediatamente. È il caso di Sika, Lonza, Sonova, EMS-Chemie: «Nessuna paura degli USA» hanno detto. Gruppi svizzeri importanti che non gridano «al lupo, al lupo» magari nell’intento di ricavarne un tornaconto immediato. Intanto si guarda avanti, con ottimismo e fiducia. Il lavoro prosegue. Alla luce (invero non ancora chiarissima) di quanto accaduto ieri a Washington, iniziamo a dire che gli USA non sono solo i capricci di Trump. Per ora almeno nei toni e nei modi. Trovare interlocutori civili è il minimo che si possa auspicare e, a testa alta, pretendere.

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