«Un colloquio amichevole», ma ancora nessuna svolta

Sorrisi, dichiarazioni di circostanza e nessuna indicazione concreta, positiva o negativa, sull’esito dei colloqui riservati con il segretario di Stato Marco Rubio. Una svolta, comunque, non sembra esserci stata. La missione della presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e del «ministro» dell’Economia Guy Parmelin a Washington per scongiurare in extremis l’imposizione di dazi del 39% su quasi il 60% delle merci svizzere esportate negli Stati Uniti – o quanto meno per ottenere una sospensione della misura – non dovrebbe aver conseguito risultati immediati. Salvo decisioni contrarie nella notte da parte dell’amministrazione americana, le nuove tariffe sono in vigore dalle 6.01 di domani 7 agosto e colpiscono in particolare il settore delle macchine, delle apparecchiature mediche, degli strumenti di precisione e dell’orologeria. L’industria farmaceutica, per ora, ne resta esente.
Su X, Keller-Sutter ha spiegato che assieme a Rubio sono stati affrontati i temi riguardanti la cooperazione bilaterale tra Svizzera e Stati Uniti, la situazione doganale e altre questioni internazionali. I due consiglieri federali hanno deciso di non indire incontri con i media negli Stati Uniti. Una conferenza stampa dovrebbe avere luogo venerdì, al loro ritorno in Svizzera. Secondo l’agenzia Bloomberg, l’aereo con a bordo la delegazione elvetica (a Washington erano presenti anche la direttrice della Seco Helene Budliger Artieda e la segretaria di Stato per le questioni finanziarie internazionali Daniela Stoffel) sarebbe dovuto partire alle 18.10 ora locale. Se ne deduce, quindi, che in agenda non c’erano altri incontri.
Bocche cucite
Ai microfoni della SRF, la presidente della Confederazione ha dichiarato che «si è trattato di un incontro molto positivo» e di «uno scambio di temi e di interessi comuni molto amichevole», senza comunque rivelare alcunché sul contenuto. Dal canto suo, la portavoce del Dipartimento di Stato USA, Tammy Bruce, ha reso noto che nel corso del colloquio è stata evidenziata «l’importanza di un rapporto commerciale equo ed equilibrato a vantaggio del popolo americano». Nell’incontro, ha sottolineato Bruce, «è stato anche ribadito l’impegno per un rafforzamento della cooperazione bilaterale in materia di difesa». Rubio non è responsabile del dossier dazi, che in primavera era stato discusso da Keller-Sutter e Parmelin a Ginevra con il ministro delle finanze Scott Bessent e il rappresentante al commercio Jamieson Greer. Ma il segretario di Stato americano, da maggio, funge anche da consigliere per la sicurezza nazionale ad interim di Trump. Non è escluso che nelle discussioni sia stato toccato anche il tema controverso dei caccia F-35, per i quali si prospetta un sensibile sorpasso di spesa: la Svizzera ritiene di aver concordato un prezzo fisso di 6 miliardi di franchi per 36 apparecchi, mentre per gli Stati Uniti le cose stanno diversamente.
L’obiettivo della Casa Bianca
Con i dazi Trump vuole ottenere concessioni e contropartite per l’economia americana dai Paesi con i quali gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale (quello con la Svizzera è di circa 40 miliardi di dollari). All’UE e al Giappone sono state imposte tariffe del 15%, alla Gran Bretagna del 10%. Il presidente ritiene che il disavanzo a favore della Svizzera sia troppo alto e chiede alla Confederazione una contropartita migliore di quella prevista inizialmente da Berna.
Prima del colloquio con Rubio, durato un’ora, Keller-Sutter e Parmelin hanno incontrato «rappresentanti di alto livello» dell’economia svizzera per discutere dei dazi, tra i quali il presidente del Cda di Roche Severin Schwan e i proprietari di Partners Group Alfred Gantner e Marcel Erni.
Il Consiglio federale, riunito d’urgenza lunedì, ha detto di aver messo a punto «un’offerta più interessante». I contenuti di quest’ultima, tuttavia, sono ancora circondati da massimo riserbo. Nel pacchetto potrebbero rientrare acquisti di gas naturale liquefatto (come ha proposto l’Unione europea) e investimenti svizzeri negli Stati Uniti. Già oggi, comunque, la Confederazione (con 358 miliardi di dollari) è il sesto investitore straniero negli Stati Uniti e il primo investitore in ricerca e sviluppo. Alla controparte americana, secondo Bloomberg, è stata presentata una nuova proposta. Ma secondo la fonte (anonima) dell’agenzia di stampa, non ci si aspettava di concludere un accordo prima del ritorno in Svizzera. Al momento non è previsto alcun incontro con Trump, stando a un funzionario della Casa Bianca.
La questione dei farmaci merita un discorso a parte. I medicamenti, non sottoposti a dazi, rappresentano il 48% dell’export svizzero negli Stati Uniti. Trump, anche per ragioni di politica interna, ha già chiesto a Roche e Novartis (e ad altre big pharma internazionali) di abbassare i prezzi. Discussioni sono in corso. Martedì, il presidente ha minacciato di introdurre dazi del 250% nel giro di diciotto mesi per i prodotti di tutte queste società.
E ora? La questione è aperta. Già lunedì il Consiglio federale si era detto pronto, se del caso, a proseguire i negoziati oltre il 7 agosto. Fra le economie avanzate, la Svizzera è quella con le tariffe più alte. Prima si troverà un’intesa con Washington, minore sarà l’impatto sull’economia elvetica.