L'editoriale

Un sospiro di sollievo, ma i timori restano

L’intesa raggiunta rappresenta una boccata d’ossigeno, ma non cancella le incertezze che gravano sul futuro dell’industria svizzera
Generoso Chiaradonna
15.11.2025 06:00

E alla fine l’intesa tanto agognata – e probabilmente già pronta da mesi – è stata raggiunta. Forse in modo piuttosto irrituale e preceduta, una settimana prima, da una visita di un gruppo di imprenditori svizzeri alla Casa Bianca, che hanno fatto omaggio al presidente Donald Trump di un lingotto e di un orologio d’oro; ma ciò che conta è che quel 39% di dazio che gravava su una parte dell’export svizzero e distorceva la concorrenza con l’Unione europea, per esempio, verrà ridotto al 15%. Non è chiaro quando entrerà in vigore la nuova tariffa. Probabilmente è una questione di giorni o, al massimo, di settimane, assicurano dal Dipartimento federale dell’economia.

La contropartita svizzera è costituita da maggiori investimenti diretti negli Stati Uniti, fino a 200 miliardi di franchi entro il 2028, e dall’azzeramento di alcuni dazi residui sui beni alimentari USA (carne e pesce) importati in Svizzera. Per quanto riguarda i dazi industriali, la Confederazione li ha aboliti già dallo scorso 1. gennaio 2024. La quasi totalità – il 99,3%, per la precisione – dei beni provenienti dagli Stati Uniti può essere importata in Svizzera in regime di esenzione doganale.

L’annuncio, la scorsa estate, di dazi unilaterali al 39% su parte dei beni prodotti in Svizzera ed esportati negli Stati Uniti aveva rovinato la festa nazionale anche per la modalità con cui si era giunti alla rottura dell’accordo, faticosamente raggiunto a livello dei funzionari delegati da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Su quella bozza mancava soltanto il via libera di Donald Trump, che saltò per un capriccio del presidente statunitense.

La consigliera federale e presidente di turno della Confederazione, Karin Keller-Sutter, aveva semplicemente cercato di portare un po’ di buon senso durante una telefonata surreale tra lei e Trump sui motivi e le dimensioni dell’avanzo commerciale a favore della Svizzera: da una parte la forza della ragione e dell’educazione, dall’altra una logica più vicina a quella del Marchese del Grillo che a quella di un capo di Stato democratico. Ma si vede che Karin Keller-Sutter non aveva ancora capito come si sono involuti i rapporti tra Stati amici e sovrani.

Ne era seguito – quello sì molto maldestro – un frettoloso e inconcludente viaggio a vuoto a Washington con il responsabile del dossier sul commercio, il collega di governo Guy Parmelin, che oggi giustamente festeggia l’intesa. Da allora, per il settore industriale – soprattutto per le aziende attive nel settore MEM (meccanica, elettronica e metallurgica) – è stata una corsa in salita. Ancora ieri l’associazione di categoria del settore tecnologico, Swissmem, presentando il bilancio trimestrale di attività, segnalava difficoltà derivanti dalle incertezze geopolitiche – ormai una costante –; dal franco forte – che in giornata ha toccato ancora un massimo storico nei confronti dell’euro, scendendo sotto i 92 centesimi –; e dagli immancabili dazi statunitensi.

Nel terzo trimestre dell’anno l’effetto negativo dei dazi americani si è mostrato in maniera chiara. Le esportazioni del settore tech verso gli USA sono crollate del 14,2% su base annua. A livello mondiale le esportazioni sono comunque aumentate del 4%, grazie soprattutto al balzo verso l’Unione europea.

Swissmem, pur dicendosi soddisfatta per il raggiungimento dell’intesa che dà un po’ di fiato all’industria, mette in guardia su alcune incognite che persistono. Le prospettive restano cupe. La situazione operativa è ritenuta «molto tesa». Numerosi altri fattori continuano a incidere negativamente sulle chance dell’industria svizzera dell’export.

In primo luogo, i mesi passati hanno dimostrato che la situazione può cambiare di nuovo in modo repentino in qualsiasi momento. Inoltre, a causa della forza del franco e della debolezza delle valute della concorrenza europea e giapponese, persiste un dannoso sovrapprezzo per i prodotti svizzeri aggravato da un franco che rimane molto forte rispetto alle altre valute. In terzo luogo, rimangono in vigore i dazi del 50% su molti prodotti in acciaio. Inoltre, sono in corso ulteriori indagini USA che potrebbero portare a dazi aggiuntivi.

In questo contesto, l’intesa raggiunta rappresenta una boccata d’ossigeno, ma non cancella le incertezze che gravano sul futuro dell’industria svizzera. Gli effetti dei nuovi equilibri commerciali andranno ora valutati trimestre dopo trimestre. 

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