La Marmolada? Come sul Monte Bianco nel 1971
Il Monte Bianco come la Marmolada. Allora come oggi, parliamo dei giorni di Pasqua del 1971, un seracco si staccò dalla montagna. Provocando un’enorme tragedia. Persero la vita quattro ticinesi: Gabriele Petazzi di Bellinzona, Roberto Menghini e Giovanni Ferretti di Lugano nonché Daniele Vanetta di Cademario. Riuscì a salvarsi soltanto Romolo Nottaris, ritrovatosi a convivere con l’episodio tanto tanto da affermare come, nonostante il passare del tempo, gli amici persi in montagna gli siano rimasti nel profondo del cuore. Di più, erano «costantemente presenti come accompagnatori nelle sue imprese successive» come riportò il Corriere del Ticino nel 2007.
Che cosa successe?
Ma andiamo con ordine. «La slavina è precipitata nel pomeriggio del giorno di Pasqua verso le 14.30» scrisse il nostro giornale martedì 13 aprile 1971. «La scena è stata osservata dall’Anguille du Midi da alcuni turisti che hanno visto un’imponente massa bianca mettersi in movimento e precipitare dal Petit Plateau verso la sottostante zona della Conca maledetta». E ancora: «Il gruppo degli alpinisti ticinesi si è venuto a trovare nella zona della valanga che li ha inghiottiti, salvo uno che ha trovato un posto dove ripararsi ed è stato risparmiato dalla tragedia».
Nottaris, dal canto suo, «era sceso verso il rifugio dei Grands Mulets per dare l’allarme». I soccorritori, leggiamo ancora nell’articolo, «hanno immediatamente iniziato a sondare sistematicamente la zona. Il cane ha scoperto un sacco da montagna, un cappello e un paio di sci. Le ricerche sono continuate fino a tarda sera, ma non hanno purtroppo dato nessun risultato. Lunedì mattina di buona lena si sono ripresi i lavori per ritrovare le salme delle vittime».
Il primo corpo recuperato fu quello di Ferretti.

La ricostruzione
La comitiva era arrivata a Chamonix sabato 10 aprile e, tramite teleferica, si trasferì sul ghiacciaio scendendo poi per un lungo tratto. Da qui, prosegue la cronaca dell’epoca, gli sciatori intrapresero la traversata raggiungendo, verso le 17, la capanna Grands Mulets, dove passarono la notte. «La mattina, già all’una e mezzo si sono rimessi in moto intenzionati a raggiungere la vetta del Monte Bianco. Ferretti, che non se la sentiva di proseguire, si fermò al rifugio Vallot, mentre gli altri continuavano la fatica. La vetta fu raggiunta verso le 10.30».
Una mezz’ora di sosta, quindi la discesa «con fermata al rifugio Vallot dove c’era il Ferretti ad attendere i compagni». Di nuovo: «Ricostituitosi il gruppo al completo dopo un po’ di riposo, la partenza avvenne alle 13.30 e il Petit Plateau venne raggiunto verso le 14. Le condizioni di tempo e della neve erano buone. Nessun sintomo di pericolo immediato».
Gli alpinisti, consapevoli che il giorno prima sotto al Plateau si era staccata una frana di ghiaccio, «anziché passare attraverso la seraccata di ghiaccio decisero di passare sotto alla seraccata stessa. Questo passaggio presentava a un certo punto un pendio nevoso di circa centocinquanta metri, molto ripido». A questo Nottaris, che procedeva in testa al gruppo, «metteva gli sci per attraversare il pendio in scivolata. Gli altri però non lo seguirono e il Nottaris si fermava, toglieva gli sci, e invitava i compagni a seguire il suo esempio, cioè ad attraversare la zona in scivolata. I quattro indugiavano dimostrando un po’ di timore per cui il Nottaris, probabilmente il più esperto, cercava di tornare sui suoi passi per andar loro incontro. Ma è in questo momento che avvertiva come sopra di lui stavano staccandosi dei blocchi di ghiaccio. Mentre gridava agli altri il pericolo con un balzo si metteva al sicuro in un’intercapedine di roccia, profonda quattro metri, a ridosso della parete. Passavano alcuni terribili istanti. Nottaris era salvo, ma gli altri quattro alpinisti venivano travolti dalla valanga di ghiaccio. Il fronte di caduta era di una larghezza di almeno 500 metri e certi massi avevano il volume di una casa».
Le parole di Nottaris
Giorni dopo, Nottaris parlò della tragedia. Ribadì che i partecipanti si prepararono in maniera ineccepibile alla scalata e che presero tutte le misure di sicurezza possibili. «Abbiamo sempre proceduto in cordata, anche quando altri gruppi di alpinisti andavano avanti singolarmente, senza particolari provvedimenti protettivi» disse l’alpinista al Corriere del Ticino. «Verso le due del pomeriggio, durante la discesa, si trattava di affrontare il passaggio obbligato – l’unico sulla via abituale del Bianco – poco sotto il Petit Plateau, in una zona dove il giorno prima si era staccata una massa di ghiaccio. Io ero davanti, Vanetta chiudeva la marcia. Sono sceso con gli sci lungo un pendio di centocinquanta metri, molto ripido: in scivolata, me lo consentiva lo stato della neve. Passando sotto la seraccata, invece che attraverso, avremmo avuto maggior sicurezza oltre che protezione».
«Tolti gli sci e data una voce ai compagni – proseguì Nottaris – affinché procedessero nella mia direzione, ho visto la valanga partire. Quanto è passato tra l’avvertimento ai compagni e l’arrivo della cascata di ghiaccio non so: è impossibile dirlo. Superando con un salto uno strapiombo di cinque o sei metri mi ero messo al sicuro: ho sentito il cupo boato, seguito dallo spostamento d’aria. Al riparo di un’intercapedine, contro montagna, ho atteso qualche attimo. È tornato il silenzio».

La tragedia del 2007
Nel 2007, in occasione di un’altra tragedia sul Monte Bianco che coinvolse Nicola Balestra e Luca Fiscalini, il nostro giornale riportò nuovamente le parole di Nottaris. «D’un tratto vidi la seraccata gonfiarsi in tutta la sua lunghezza. Stentavo a capacitarmi di quello che vedevo nella speranza che non stesse realmente accadendo. Era come se cinquanta grattacieli stessero per caderci inesorabilmente addosso, senza emettere in quel momento alcun suono».