Sci alpino

E se a Sölden vincesse Marcel Hirscher?

Il ghiacciaio del Rettenbach lancia la Coppa del mondo con i primi giganti – La leggenda austriaca tornerà protagonista: l’ex rivale Henrik Kristoffersen ha deciso di affidarsi agli sci Van Deer-Red Bull, di sua creazione
Massimo Solari
22.10.2022 06:00

L’alba, come sempre, sorgerà sul ghiacciaio del Rettenbach. Sölden, già. E una nuova Coppa del mondo tutta da assaporare. Non sarà però un avvio di stagione come gli altri. A scuotere il Circo bianco ci ha pensato Marcel Hirscher. Sì, avete letto bene. Il cannibale è tornato. O meglio, tornerà protagonista domani, in occasione del primo gigante in calendario. Il campione austriaco aveva salutato tutti nel 2019. A soli 30 anni e dopo aver dominato la scena per un decennio. La storia d’amore con la neve e la ricerca del successo, però, non sono mai tramontati. Macché. Semplicemente hanno assunto una nuova connotazione. Un’altra prospettiva, anche. Appesi gli sci al chiodo, Hirscher ha deciso di creare la personale creatura. Ecco così l’avvento di Van Deer, con Deer che in inglese significa cervo, che in tedesco si traduce Hirsch. Insomma, una linea a sua immagine e somiglianza. Nella quale - con una quota del 50% - ha deciso d’investire nientemeno che la Red Bull. Per scardinare le logiche del settore serviva tuttavia il giusto grimaldello. Un nome forte. Ebbene, è stato individuato Henrik Kristoffersen; per almeno cinque stagioni il rivale dell’austriaco in gigante e slalom. Wow.

Tre grandi famiglie e un intruso

«Una rivoluzione? Calma». A frenare di colpo, sollevando un sacco di neve, è Angelo Maina. Dal 2005 ai vertici del dipartimento competizione di Rossignol - famiglia alla quale Kristoffersen è stato “scippato” -, il ticinese archivierà il suo mandato in dicembre. Quando la portata del fenomeno Van Deer-Red Bull, forse, sarà più chiara. «Gli ultimi 15-20 anni - spiega - sono stati segnati da tre grossi marchi. Il gruppo Amer, con Salomon e Atomic; il gruppo Rossignol, con Rossignol, Dynastar e Lange; Head. Le tre aziende sono presenti in tutto il mondo. E per poter rifornire gli atleti sottoscrivono contratti ad hoc con le federazioni. In pratica, si paga una quota per collaborare con le differenti nazionali». Bene. E gli altri? «I piccoli devono ragionare in modo più strategico. A dipendenza dei mercati. La parola d’ordine è “sostenibilità”. Stöckli, per esempio, produce circa 60.000 paia di sci. E di conseguenza non può raggiungere tutti. Rossignol e la famiglia Amer, per intenderci, di sci ne sfornano 800.000». La premessa, per Maina, è doverosa. «A fronte di simili dati il progetto di Van Deer-Red Bull risulta quantomeno strano. La produzione, oggi, dovrebbe attestarsi sulle 5.000 paia. Il che non è assolutamente sostenibile. A meno di contare su un partner della caratura di Red Bull, che come in altri sport - automobilismo in primis - promuove il marchio attraverso azioni di marketing profilate. Scommesse, già, qual è la collaborazione con il materiale di Hirscher».

È una questione di strategie e budget: o si partecipa all’asta o, come Rossignol, s’investe sui giovani
Angelo Maina, dipartimento gare Rossignol

Persa anche Michelle Gisin

All’ultimo arrivato sulla scena, va da sé, i soldi non mancano. «Lo suggerisce l’investimento su Kristoffersen, ma lo confermano pure i profili reclutati nello staff» precisa Maina, riferendosi a figure «attive da tempo ai vertici della federazione austriaca». Qualche nome? Ferdinand Hirscher, allenatore d’esperienza e papà di Marcel, il leggendario skiman Edi Unterberger e l’ex direttore sportivo delle aquile Toni Giger. Un concentrato di competenze pazzesche. Eufemismo: non tutti l’hanno presa bene. Il team e il marchio di Hirscher fanno paura? In fondo pure Bode Miller ha appena lanciato il marchio «Peak Ski», seguendo le orme dell’austriaco... Maina non si scompone: «Posso parlare per Rossignol, che a livello giovanile presenta un’organizzazione molto forte. L’80-90% degli atleti nascono o crescono con il nostro materiale. Non puntiamo, a posteriori, allo sciatore affermato. Ma allo stesso tempo è impossibile trattenere tutti sotto la nostra ala». Prendete quel fenomeno di Lindsey Vonn. Sbocciata grazie a Rossignol, nel 2009 decise di abbracciare Head. Lo stesso è capitato alla svizzera Michelle Gisin, per anni fedele al marchio francese ma da questa CdM atleta targata Salomon. Reduce da addirittura quindici anni con Head, Camille Rast ha compiuto lo stesso passo. «Banalmente, è una questione di budget» evidenzia Maina. Di norma sono proposti contratti biennali. Un periodo regolamentato dai diversi pool. Anche se con i talenti più puri è possibile raddoppiare. Per dire: Marco Odermatt ha appena prolungato di 4 anni il rapporto con Stöckli. «Lo stesso Kristoffersen, Loïc Meillard o ancora Federica Brignone hanno beneficiato di un simile trattamento con Rossignol» prosegue il manager ticinese.

Di aste e aggressività

Ma cosa succede a un’azienda che smarrisce due punte di diamante come Kristoffersen e Gisin? «Naturalmente perderli è stato un peccato» ammette Maina. Per poi inquadrare i piani dell’azienda: «Rossignol ha sempre cercato di mantenere un certo livello, in termini di atleti e quindi budget. L’obiettivo è evitare gli alti e i bassi, garantendo una determinata performance. A seconda delle strategie di marketing (su quale nazione puntare) e dell’andamento delle vendite, i marchi possono ritrovarsi nella condizione di dover recuperare il terreno. Anche attraverso una politica aggressiva. È il caso di Salomon, che a questo giro ha investito forte su profili come Michelle Gisin». Ponendo Rossignol (e gli altri concorrenti) di fronte a un bivio. «O si partecipa all’asta o si pongono dei limiti ed eventualmente si accetta la partenza del proprio assistito» rileva Maina. «Dipende molto dai profili che spingono da sotto e dalla fiducia che il singolo marchio è disposto ad accordare loro».

Rispetto ai marchi che si sono spartiti la torta sin qui, Van Deer-Red Bull è tuttavia in grado di offrire altro all’atleta: maggiori margini d’intervento e molta più libertà d’azione. In scuderia, d’altronde, figurano solo tre uomini: Kristoffersen, Charlie Raposo e Timo Haugan. Angelo Maina, al proposito, parla di «pro e contro». «È vero, il team di Hirscher può sostanzialmente fare quello che vuole. Con 30 sciatori in squadra, come nel caso di Rossignol, immaginare altrettante gestioni non è concepibile. Il numero uno godrà sempre di un’attenzione maggiore. Ma la ricerca deve giocoforza basarsi su numeri più grandi. D’altro canto, correre da soli - come accadrà a Henrik - annulla i paragoni e di fatto riduce la garanzia di performance data dai risultati e i test dei materiali di diversi sciatori». Per tacere del grado di visibilità. «Vedere trenta atleti partire con gli stessi sci - conclude Maina - ha un determinato impatto. Se a Sölden Kristoffersen dovesse finire ventesimo, difficilmente l’effetto sul pubblico sarà invece positivo». Già. In caso di miglior tempo, però, sul ghiacciaio del Rettenbach tornerebbe a vincere pure Hirscher. E sarebbe la 68. volta.

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