Calcio

«L'idea di Chicago mi ha stregato, poi però ho pensato ai miei figli»

In una lunga intervista Mattia Bottani ripercorre gli ultimi, intensi mesi: la Coppa, la Nazionale, il sogno americano e il contratto con il Lugano: «La società è dalla mia parte: vogliamo rinnovare»
Massimo Solari
29.09.2022 06:00

Ha vissuto mesi intensi. Carichi di felicità, da un lato. Ma non privi di riflessioni e interrogativi, dall’altro. La Coppa, la Nazionale, il matrimonio, il contratto con il Lugano e l’America, lì, all’orizzonte. Per una volta, e in una lunga intervista, Mattia Bottani ha deciso di non dribblare gli «avversari». E, così, di chiarire alcune questioni in sospeso.

Mattia, innanzitutto come stai? Uno stiramento, lo ricordiamo, ti aveva costretto a saltare l’ultimo impegno di Coppa.

«Abbiamo appena effettuato la risonanza di controllo alla coscia. Il problema non è ancora risolto. Prima di tornare a disposizione al 100%, dovrò aspettare la prossima settimana. Insomma, contro il Servette - domenica - non ci sarò».

La scorsa stagione, forse la tua migliore in bianconero, avevi mancato solo quattro partite per motivi fisici. Da metà luglio siamo già a quota tre forfait. Qualcosa non ha funzionato durante la preparazione o c’entra la sfortuna?

«A condizionarmi tuttora è proprio la preparazione estiva. Che ho praticamente saltato per colpa della positività al coronavirus al rientro dalle vacanze. L’infezione mi ha tagliato le gambe, a maggior ragione alla luce della ripresa posticipata a seguito della convocazione in Nazionale. Quando sono tornato in campo, in sostanza tre settimane dopo i compagni, ho faticato tremendamente sul piano aerobico. Non riuscivo a sostenere più di qualche minuto di corsa ad alto ritmo. Oramai mi conosco: se non metto benzina nelle gambe prima del campionato, poi è un continuo inseguire la migliore forma. Ciò non esclude - e non ha escluso - la possibilità di essere performante. A tratti è avvenuto. Il fisico però non risponde come dovrebbe per la maggior parte del tempo. Il che è frustrante, poiché la differenza sono in grado di farla quando sto bene».

A monte c’è pure un problema accusato in giugno, in Nazionale. Se ripensi alla tua prima convocazione e all’esordio in rossocrociato, provi solo orgoglio o - di tanto in tanto - si fa largo un pizzico di rammarico per non aver sfruttato appieno l’occasione?

«In effetti sono in parte dispiaciuto per non aver potuto essere della partita contro il Portogallo, a Ginevra. E ciò indipendentemente da un eventuale impiego da parte del ct Yakin. L’orgoglio per i venti minuti disputati a Lisbona comunque prevale sul rammarico. Quante “mie” magliette ho portato a casa? Quattro rosse e due bianche della vecchia collezione. Un paio le ho tenute io, una è andata a mio padre, una a mio fratello, una al parrucchiere di fiducia e una al mio assicuratore».

A proposito della selezione di Murat Yakin. In questi giorni si è parlato tanto del secondo tempo di Ginevra, contro la Spagna, definendolo il punto di svolta per le successive vittorie che hanno lanciato al meglio il Mondiale. Tu c’eri: cosa è accaduto quindi?

«Molto, a mio avviso, si è deciso sul piano mentale. Quando si è a terra - e la squadra di fatto lo era dopo le sconfitte con Cechia, Portogallo e 45 minuti di totale sofferenza con la Spagna - una reazione s’impone. Perlomeno se a formare il gruppo sono giocatori di spessore, che militano in grandi campionati e hanno una certa personalità, oltre a un minimo d’orgoglio. Prendete Granit Xhaka: nell’occasione ha davvero preso per mano i compagni. E, al proposito, devo ammettere di essere rimasto impressionato dal suo impegno durante il raduno e dalla leadership in spogliatoio. Il clic, insomma, si è verificato e ha permesso alle selezione di ritrovare slancio. Consapevolezza, anche. Il successo casalingo con il Portogallo non si spiegherebbe altrimenti».

Per Mattia Bottani il Mondiale rimarrà (e magari è sempre stato così) un sogno nel cassetto?

«Un barlume di speranza rimane. E mi ci aggrappo, prendendolo come stimolo per il prossimo mese di competizione. Sì, appena sarò al top intendo fare grandi cose. In fondo, pure in giugno non credevo di avere la minima chance di convocazione in Nations League. Eppure è successo. Poi, certo, nello sport come nella vita i traguardi possono essere raggiunti o meno. L’importante è provarci. E io voglio farlo».

Il Mondiale in Qatar? C’è ancora un barlume di speranza e appena sarò al top fisicamente proverò a giocarmi tutte le carte

Il 2022 ti ha regalato diversi momenti forti. Rimaniamo sul piano sportivo e proviamo a fare un po’ di chiarezza. Reduce da una stagione eccezionale, con tanto di Coppa e Nazionale, decidi di bussare alla porta della società. Con quali sentimenti e obiettivi?

«Non direi che sono andato a bussare alla porta della società. Banalmente, a fronte di un finale di stagione importante - e la chiamata in Nazionale ha fatto la sua parte - alcuni club si sono fatti avanti. Mostrando interesse nei miei confronti, facendo qualche chiamata. E alla fine momenti come questo vanno anche un po’ cavalcati. Io ho avuto la fortuna di poterlo fare, tra l’altro trovando la piena disponibilità al dialogo del club. Insomma, le discussioni sono nate in modo naturale e senza alcuna pretesa da parte mia. Di più: la dirigenza - e in particolare Carlos Da Silva e Sebastian Pelzer - ha confermato di ritenermi un simbolo dell’FC Lugano. Gettare le basi per una soluzione condivisa per il futuro, dunque, non è stato difficile». 

Quale tipo di soluzione? Il tuo contratto scade nel 2024, quando avrai 33 anni.

«Non c’è ancora nulla di nero su bianco. Ma l’intenzione - ribadisco condivisa - è di estendere l’accordo in essere. Così da permettermi di chiudere la carriera in bianconero. La durata del rinnovo va definita. Ma non ho fretta: il mio contratto non scade domani e delle rassicurazioni ricevute sento di potermi fidare. Oltretutto, non metterei mai pressione alla società che mi ha permesso di impormi come calciatore. Il desiderio delle parti, per altro, è di pianificare a Lugano pure il mio dopo carriera». 

Ma Mattia Bottani quanti anni si sente ancora nelle gambe?

«L’anno scorso stavo benissimo e avrei puntato anche ad altri sei anni... (ride, ndr). In questa stagione, per contro, sto facendo più fatica. Che dire: dipenderà pure dalla mia vita privata, che ammetto essere un po’ altalenante. La serenità, ora, non mi manca. Se sarò bravo a coltivarla, mi piacerebbe proseguire sino a 35-36 anni. Perché no, così da vivere da protagonista il nuovo stadio».

Cosa significa per te Chicago? Uno scenario naufragato? O una possibilità, concreta, per il futuro?

«È stato un tema, è vero. La questione, tuttavia, è semplice: essendo separato, partire per Chicago avrebbe comportato una lontananza prolungata dai miei tre figli di 8, 3 e 2 anni. E no, accettare di vederli una o due volte all’anno sarebbe stato per me insostenibile. D’accordo il brivido dell’esperienza e gli stimoli a stelle e strisce, okay la busta paga più pesante. Il tempo perso con le persone a me più care, quello, non lo avrei però riavuto indietro. In un primo momento, non lo nego, la proposta mi ha stregato. Non capita tutti i giorni di poter vivere un’esperienza del genere. Ne ho parlato anche con mio figlio più grande, provandogli a spiegare cosa avrebbe comportato un simile scenario. La reazione, tuttavia, non è stata facile da gestire. Di qui la decisione, che ritengo più giusta, di restare in Ticino. O, in caso di un’eventuale rottura con la società, in un luogo che per l’appunto mi consenta di godermi gli affetti con una certa regolarità».

Davvero l’interessamento del Sion, invece, non è mai stato reale? O qualche chiamata dall’entourage Constantin è arrivata?

«No no, è stato reale. Ma il tutto è naufragato abbastanza velocemente. La trattativa con il Lugano non era delle più semplici. Senza dimenticare che il club vallesano aveva Mario Balotelli come primo obiettivo».

Dopo l’ultima stagione molto positiva, e a fronte di alcune offerte, incontrare la società è stato naturale. L’obiettivo è condiviso: rinnovare il contratto che scade nel 2024

Nei Fire milita Shaqiri, atteso a Cornaredo per preparare il Mondiale. Meglio allenarsi con Xherdan o completare un attacco con Mario Balotelli?

«Non ho dubbi: allenarmi con Xherdan, che conosco dai tempi della U18 rossocrociata. Poterlo vedere a Cornaredo sarebbe fantastico, anche per i più giovani».

Come Super Mario, anche tu però - puntualmente - sei associato a speculazioni e rumors. Provocazione: ti senti un po’ il «Balotelli» del calcio ticinese?

«(ride, ndr). Forse all’inizio della mia carriera. Quando a mia volta ero abbastanza ingestibile e faticavo a fare astrazione dalle dicerie altrui. Adesso, invece, sento di avere davvero poco da spartire con Balotelli».

Tu e Shaqiri siete giocatori molto simili. In Nazionale «XS» ha oramai accettato un nuovo ruolo, non più da numero 10 ma largo a destra. All’opposto, il 4-2-3-1 di Mattia Croci-Torti rischia di imbottigliarti proprio dietro la punta. Non preferiresti partire dall’esterno o godere di più libertà come nel vecchio 3-5-2?

«La verità è che ogni partita ha la sua storia. In alcuni match mi sono trovato a mio agio partendo da sinistra, in altri ho fatto bene al centro. È vero che la scorsa stagione, giostrando da seconda punta e avendo dei quinti al posto degli esterni offensivi, godevo di maggiore libertà. Più che di modulo, tuttavia, la reputo una questione di automatismi. E di feeling con i compagni. Con Haile-Selassie, per esempio, l’intesa è ottima. So come si muove, come ama ricevere la palla, e quindi non mi disturba che a orbitare a sinistra sia lui. Con Steffen o ancora Mahou, arrivati da poco, i meccanismi sono invece perfettibili. Giocare da trequartista, comunque, mi piace».

La stagione del Lugano, sin qui, è stata sotto le attese sul piano dei risultati. Perché?

«Sono d’accordo. Anche se i risultati non raccontano sempre tutto. A mio avviso stiamo pagando delle prestazioni troppo altalenanti. E mi spiego: abbiamo affrontato alcuni incontri con coraggio, giocandocela a viso aperto; in altre occasioni, per contro, il nostro atteggiamento è stato rinunciatario. Insomma, se vogliamo migliorare è necessario sviluppare quanto prima una chiara identità, accettando di portarla fino in fondo. Comunque, guai a relativizzare l’equilibrio del campionato svizzero. Per intenderci e rose alla mano, non credo che il Lugano sia così superiore a un Lucerna».

Papà fiero, ora anche marito felice, una Coppa e una maglia della Nazionale in bacheca. Cosa sogna ancora Mattia Bottani?

«Di lottare per il titolo con il Lugano. I progetti e i mezzi della nuova proprietà, in fondo, sono un invito in questo senso. Almeno a medio termine».

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