«Mauro Lustrinelli ha posto l'asticella molto in alto»
Patrick Rahmen è entrato in una nuova dimensione. L’ennesima di una carriera che ha conosciuto diverse sfumature. Il calcio giovanile prima, quello dei grandi poi, in qualità di assistente e allenatore. La sua grande chance, sulla panchina del Basilea, è stata vanificata anzitempo. A bussare subito alla sua porta è però stata l’ASF. Abbiamo incontrato il 53.enne renano, nominato alla testa della U21 Svizzera dopo l’addio di Mauro Lustrinelli.
Signor Rahmen, come ha scelto i suoi primi 24 giocatori da allenatore della Nazionale in vista dell’imminente raduno a Marbella?
«Rispetto alla squadra che ha chiuso la campagna di qualificazione agli Europei non vi sono particolari cambiamenti. Ho cercato di seguire tutti gli elementi in questo inizio di stagione, valutando pure alcuni nuovi profili. È il caso, per esempio, di Ardon Jashari (chiamato in extremis da Murat Yakin, ndr) e Christian Witzig (di picchetto), protagonisti di un ottimo inizio di campionato con il Lucerna e il San Gallo».
Con quali emozioni e sensazioni affronta al primo impegno da tecnico della U21 elvetica?
«Sono felice ed entusiasta. L’ultimo mese, dopo la mia nomina, è stato molto intenso. Ho seguito diverse partite, allacciando contatti con i vari giocatori. Eredito un gruppo di calciatori con il quale Mauro Lustrinelli e il suo staff hanno avuto molto successo. Spero di proseguire su questa strada».
Come ci si trasforma da allenatore di club a selezionatore in pochi mesi? In che modo è cambiato il suo modo di pensare?
«È una questione che mi è stata posta e che mi sono posto quando si è presentata l’occasione della U21 rossocrociata. Senza tuttavia ingigantirne la portata. Da un lato, ed è evidente, avrò meno tempo a disposizione per lavorare con la squadra, per svilupparla. Dall’altro, tuttavia, trovo molto stimolante il lato itinerante della mia nuova funzione: visito club, incontro tecnici, direttori sportivi e talent manager, osservo allenamenti e dialogo direttamente con i singoli giocatori. Il mio sguardo sul calcio svizzero, insomma, è in parte mutato. In ogni caso, vivo questa situazione come un privilegio: essere alla testa di una Under 21 significa gestire i migliori giovani del Paese. E non parliamo di ragazzi, ma di professionisti che ricoprono già ruoli importanti in Challenge o Super League. Il tutto, quindi, non si discosta molto dal guidare un grosso club o una nazionale maggiore».


Eppure questi non erano i suoi piani. Il suo contratto con il Basilea sarebbe scaduto tra un anno… È stata dura essere allontanati da questo mondo?
«Sul momento, forse, è stato difficile accettare la decisione della dirigenza renana. Ero ovviamente convinto della bontà del mio lavoro. Con la necessaria distanza, ad ogni modo, non ho avuto problemi a digerire il tutto. Non sono una persona rancorosa, anzi. Mi piace guardare avanti. E quando fai questo mestiere certi scenari devi metterli in conto».
Se le dicessi che ha accettato la proposta dell’ASF per lavorare con meno pressione, come replica?
«Beh, non glielo confermerei. Di pressione, posso garantirlo, ne avverto anche in questo ruolo. Basta osservare il cammino della U21 rossocrociata nelle ultime due campagne europee. La bontà del lavoro di Mauro Lustrinelli e del suo staff, detto altrimenti, sono sotto gli occhi di tutti. E confermare simili risultati anche in futuro è e vuole essere il mio obiettivo. L’asticella, ripeto, è posta molto in alto. A maggior ragione considerando che il tempo a disposizione per sviluppare questo gruppo di giocatori è - come suggerivo - minore rispetto a un club. Permettetemi inoltre di osservare come l’esperienza alla testa del Basilea abbia dimostrato che il sottoscritto sa convivere molto bene con la pressione. Se fosse il contrario e non mi nutrissi di ambizioni, avrei per altro sbagliato lavoro».
Un po’ come a Basilea dopo Ciriaco Sforza, deve salire su un treno in corsa, lanciato dalla gestione Lustrinelli. È questa la sua principale preoccupazione?
«Non veramente. Da un lato abbraccio questa sfida convinto di poter introdurre nuove idee. Dall’altro, dopo aver analizzato a fondo le prestazioni offerte sotto la precedente gestione, so anche riconoscere quali aspetti e dinamiche funzionano bene. Penso allo stile di gioco, dominante e capace di esaltare le qualità di questo gruppo di calciatori. Sì, vogliamo guardare più a noi stessi che all’avversario. E ci metterò del mio, su questo non c’è alcun dubbio».
Semifinali nel 2002, finale nel 2011, la Svizzera ha i mezzi per ripetere questi exploit all’Europeo di categoria della prossima estate?
«Affermarlo ora, con certezza, è difficile. Molto, banalmente, dipenderà dalle squadre che formeranno il nostro gruppo. Come pure da altri fattori: penso alla forma dei singoli dopo una lunghissima stagione, agli infortuni e alla possibilità o meno di schierare elementi che fanno già parte del giro della selezione maggiore. Di sicuro affronteremo il torneo con importanti ambizioni».
Potrà contare su giocatori svizzeri che giocano in Svizzera. Quasi nessuno milita all’estero. Perché è una buona notizia?
«Le statistiche degli ultimi dieci anni non mentono. La probabilità di imporsi all’estero e, di riflesso, in Nazionale, è molto più alta se alle spalle c’è un percorso di crescita - graduale - ai vertici del calcio svizzero. I giovani talenti del nostro Paese lo hanno oramai compreso: la Challenge e la Super League, se vissute da protagonisti, costituiscono un trampolino prezioso. Per le selezioni elvetiche e, appunto, un eventuale futuro di successo in Europa. I risultati del recente passato, per quanto concerne la U21, raccontano questo».


Cosa dire dunque del 19.enne Bradley Fink, l’«attaccante del futuro», e del suo particolare percorso?
«Bradley è uno dei giocatori che abbiamo seguito con attenzione in questi mesi. La genesi del suo arrivo al Basilea, tuttavia, non va scordata. Al Borussia Dortmund ha trovato con facilità la via del gol a livello di U19 e, poi, con qualche apparizione nella U23 in Dritte Bundesliga. Il salto nel calcio professionistico è invece fresco. E l’esito dello stesso, va da sé, potrà essere misurato solo nel prossimo futuro. Detto ciò, Fink è senz’altro un candidato solido per il nostro reparto avanzato agli Europei del 2023».
Zeki Amdouni subito convocato in Qatar: sì o no?
«Anche in questo caso, fare una previsione è complicato. Parliamo di un giocatore che ha conosciuto dei progressi notevoli nell’ultimo anno. La decisione finale, però, spetta a Murat Yakin. E non solo per il caso Amdouni. Sono diversi, infatti, i profili U21 che potrebbero diventare un tema per i Mondiali in Qatar».
Lei è di Basilea. Murat Yakin pure. Ai vertici del calcio svizzero si avrà un particolare occhio di riguardo per la piazza renana?
«No, no, non temete (ride, ndr). Per dire, sono già stato due volte a Lugano... Il caso ha voluto che due basilesi guidassero le formazioni di punta del movimento rossocrociato. Ma siamo due basilesi aperti al resto della Svizzera, spesso in viaggio e tutto fuorché schiavi della regione dalla quale proveniamo».
In che modo ha iniziato a collaborare con Murat Yakin?
«Ci conosciamo da diversi anni. E questo sicuramente ha facilitato i primi contatti da selezionatori. So come ragiona Muri e, non a caso, la comunicazione con la Nazionale A è molto buona. Ma lo stesso vale per gli altri colleghi: Massimo Rizzo, Ilija Borenovic, Sascha Stauch o ancora Francesco Gabriele. Le nostre strade si erano già incrociate sia a livello di club, sia nell’ambito formativo. E trovo molto preziosi i momenti di condivisione e scambio di opinioni. In un club, infatti, la prima squadra assorbe quasi tutte le energie di un allenatore».