«La sentenza ha fatto chiarezza: è stata una sofferenza per tutti»

Ha preferito aspettare qualche mese prima di parlare. Ma oggi l’ex capodicastero Anziani e ambiente di Bellinzona Giorgio Soldini, intervistato dal Corriere del Ticino, non le manda a dire alla luce della sentenza di secondo grado che ha prosciolto da ogni imputazione la direzione della Casa anziani di Sementina per i decessi legati al coronavirus.
Signor Soldini, quale è stata la sua prima reazione quando ha saputo della sentenza della Corte di appello e di revisione penale di Locarno (CARP), intimata alle parti tre mesi fa, che ha prosciolto la direttrice sanitaria, il direttore amministrativo e l’ex capocure della casa anziani Circolo del Ticino di Sementina?
«Riaffermando vicinanza, solidarietà e cordoglio alle persone colpite dal flagello del COVID, ho accolto con profonda serenità e sollievo il verdetto. Dopo mesi di dolore, dubbi e attese, questa decisione restituisce giustizia a tre persone che, nel pieno di una crisi senza precedenti, hanno portato avanti il proprio lavoro con umanità, responsabilità e coscienza. Questa sentenza non cancella la sofferenza di quel periodo, ma ci ricorda l’importanza di non giudicare con leggerezza, così come invece fatto da certi giornali e da alcuni rappresentanti politici, soprattutto quando ci sono in gioco la dignità e l’onestà delle persone. La fiducia ritrovata è un passo importante per guardare avanti con maggiore consapevolezza e speranza».
Quando si sono registrati i 22 decessi nell’istituto, durante la prima ondata pandemica (quindi da metà marzo a metà aprile 2020), era capodicastero Anziani e ambiente. Lei e il Municipio avete subito attacchi politici pesanti. Ora che la sentenza è cresciuta in giudicato (la Procura non ha infatti inoltrato ricorso al Tribunale federale) vuole togliersi qualche sassolino dalle scarpe?
«La “vendetta” non è mai garanzia di beneficio, ma la lettura della sentenza di secondo grado parla chiaro. Pertanto mi piace qui ricordare che l’accusa iniziale di omicidio colposo plurimo era già stata abbandonata dal procuratore generale poiché i decessi dei pazienti non potevano essere collegati a presunti comportamenti irregolari dei collaboratori dell’istituto. Quel poco che rimaneva dopo la sentenza di primo grado (una possibile infrazione di valore contravvenzionale e niente di più) è poi stata “spazzata via” dalla CARP che ha stabilito che le decisioni prese dall’Ufficio del medico cantonale non erano in ogni caso di sua competenza. Inoltre non potevano per loro natura avere carattere prescrittivo ma, in secondo luogo, neppure si poteva constatare in capo ai singoli collaboratori un’opposizione a buona parte delle sue indicazioni, quand’anche avessero avuto una validità giuridica e, quindi, non certo per un “vizio di forma”. Ragione per cui è poi stata riconosciuta loro un’indennità di oltre 60 mila franchi ciascuno. Spiace ora rilevare che, durante questa dolorosa vicenda, alcuni noti politici abbiano preferito sbeffeggiare per loro interessi politici e nulla più, cavalcando l’onda del sospetto e dello sciacallaggio politico, piuttosto che attendere serenamente il verdetto. Chi ha urlato più forte oggi dovrebbe almeno farsi un esame di coscienza. La macchina del fango ha fallito, ma non senza conseguenze: ha minato la fiducia delle istituzioni».
La CARP, l’ha ricordato, ha detto che il medico cantonale non era competente per emanare delle direttive. Il compito spettava al Consiglio di Stato. Non fa un po’ specie considerando che, ai tempi dell’emergenza sanitaria, tutti pendevano dalle labbra del medico cantonale?
«Effettivamente la conclusione della CARP solleva più di una riflessione. Che il medico cantonale non fosse formalmente competente per emanare certe direttive è un dato di fatto giuridico che la Corte ha stabilito. Ma non possiamo però ignorare il contesto in cui queste decisioni venivano prese. Che oggi si giudichi a posteriori e in un clima di normalità, ciò che è avvenuto in piena emergenza pandemica, con strumenti e criteri giuridici, è legittimo ma rischia di risultare scollegato dalla realtà operativa di allora. Si rischia di dimenticare che tutti - istituzioni, Comuni, case per anziani - facevano affidamento sulle indicazioni del medico cantonale perché erano, semplicemente, le uniche disponibili in tempo reale. Semmai la sentenza evidenzia un grave vuoto istituzionale: un sistema che in tempo di crisi non ha saputo chiarire chi dovesse decidere cosa. A margine di ciò, tuttavia, alla luce di quanto appena detto, mi chiedo: come mai per giungere alla conclusione definitiva della CARP nessuno fra chi ha promosso l’accusa, chi avrebbe dovuto verificare le procedure, chi le doveva applicare e chi doveva sapere cosa fare, non si è accorto di queste lacune? E, infine, alla luce di questo verdetto, come sarebbe andato a finire il ricorso al Tribunale federale della Città avverso i servizi della RSI? (i giudici hanno dato ragione all’emittente; n.d.r.)».

Premessa: durante il coronavirus ci sono stati dei morti anche in altre case anziani ticinesi. A Sementina sono purtroppo deceduti 22 ospiti. Vuol dire che, in un modo o nell’altro, il subdolo virus è riuscito ad «entrare» nell’istituto di proprietà della Città. È stata solo sfortuna oppure vi sono stati degli errori?
«A questa domanda risulta difficile dare una risposta per differenti ragioni. In primis perché a tutt’oggi la scienza e la medicina non hanno ancora fornito certezze definitive in merito a questo virus. Quello che di certo si può dire è che la Direzione amministrativa come pure quella sanitaria delle quattro strutture per anziani comunali di Bellinzona hanno sempre applicato e fatte loro le raccomandazioni impartite dal medico cantonale. Per questa ragione piace quindi ricordare, ancora una volta, che in occasione della prima ondata nelle CPA ticinesi morirono 151 ospiti, mentre durante la seconda ondata i decessi attestati salirono a 232 (neppure uno in Città). Come mai? Cosa è successo? Inoltre, sebbene fosse risaputo dalle varie istituzioni sanitarie, politiche e giudiziarie che in quel periodo differenti case anziani si erano trovate nelle medesime condizioni, forse ancora peggio in rapporto al numero ospiti/decessi di come si è trovata quella di Sementina, quali verifiche/approfondimenti sono stati fatti da parte del medico cantonale e del Ministero pubblico?».
Come Città, per contro, avete fatto tutto quello che era nelle vostre possibilità?
«Al Municipio non sono attribuite competenze sanitarie né evidentemente in quanto autorità politica ne dispone dal punto di vista materiale. Questo assetto istituzionale va rispettato e compreso, soprattutto da chi ha avanzato accuse superficiali e infondate. Agire secondo indicazioni cantonali non è una scelta, ma un dovere di legge e di responsabilità. Per questa ragione, in qualità di ex capodicastero, oggi così come allora, posso affermare di non avere nulla da recriminarmi. Ora che la giustizia ha fatto chiarezza è tempo di voltare pagina, ma senza dimenticare quanto sia importante, anche nel dissenso politico, che in democrazia ci può ovviamente stare, mantenere il rispetto per il ruolo e la dignità delle persone. E non come fatto da certi giornalisti e conosciuti esponenti politici che si sono addirittura permessi di giudicare e commentare con opinioni personali fuorvianti».
Speriamo di no, ma qualora dovesse esserci un’altra pandemia, lei rispetterebbe ancora le direttive del medico cantonale alla luce di quanto osservato dalla Corte di appello e di revisione penale?
«La speranza è indiscutibilmente quella che una simile pandemia non accada più. Ma purtroppo il tempo ci ha insegnato che ciclicamente tali situazioni possono capitare. Seguire le indicazioni del medico cantonale è pertanto doveroso. Semmai il vero insegnamento che serve è maggiore chiarezza istituzionale, così da rafforzare e non indebolire la catena di comando e la fiducia nei confronti delle autorità sanitarie. Un pensiero lo rivolgo ancora a coloro che hanno perso un loro caro. Al di là di ogni sentenza, in un periodo storico drammatico, nulla potrà mai cancellare la sofferenza e il dolore di quella perdita, un dolore peraltro acuito anche dall’impossibilità, in molti casi, di stare accanto ai propri congiunti negli ultimi momenti».