L'editoriale

Il Lugano, il mago di Oz e la parte più bella del viaggio

L'attesa è finita, domani al Wankdorf il Lugano contenderà al San Gallo la Coppa Svizzera
Massimo Solari
14.05.2022 06:00

Il meraviglioso mago di Oz è un’istituzione della letteratura per ragazzi. Per primo, nel 1900, spalancò le porte dell’America al genere fantastico. Oltre un secolo più tardi, la magia di questa storia ha fatto breccia anche in casa Croci-Torti. I nomi di due delle tre figlie di Mattia, allenatore del Lugano, provengono in effetti dal mondo plasmato da L. Frank Baum. Dorotea e Smeralda, come Dorothy e le incredibili avventure nella Città di Smeraldo. A poche ore dalla finale di Coppa Svizzera, la trama dell’iconico romanzo e le gesta dei suoi protagonisti assomigliano a un suggerimento affascinante. Un segno del destino, forse. Perché nei luoghi di cui si narra, si rischia molto, ma si ottiene ancora di più.

Già, al Wankdorf i bianconeri dovranno giocoforza osare. Dimostrare, detto altrimenti, che la voglia di mettere le mani sul trofeo supera di gran lunga la paura di perderlo. Che esiste, inutile negarlo. All’appuntamento con l’immortalità sportiva, Sabbatini e compagni arrivano però con tante certezze. Appigli, guardando nello specchietto retrovisore, che lastricano l’avvincente stagione bianconera, così come l’animo ambizioso di diversi giocatori. È vero, a spingerli – domani – sarà la minoranza del pubblico presente allo stadio. La marea biancoverde si preannuncia travolgente. E a cavalcarla, c’è da scommetterci, sarà il tecnico del San Gallo Peter Zeidler. L’interpretazione della finale, offerta giovedì al Blick dal 59.enne tedesco, deve tuttavia far riflettere. E, in qualche modo, alimentare ulteriormente la passione del popolo luganese. Cosa ha dichiarato Zeidler? Beh, che la Coppa costituisce il mezzo, non il fine. «La possibilità di tornare a disputare una competizione europea spinge tutti noi, alimentando un sogno». Bene. Per il Football Club Lugano - e non temiamo di essere smentiti - in palio c’è altro. La gloria, innanzitutto. Che trascende qualsiasi campagna continentale e al contempo discende dall’orgoglio. Quello di un club periferico, che i titoli, se la costellazione è benevola, li conquista ogni trent’anni. E quello di una piazza che – oramai è più forte di lei – ama esaltarsi solo quando la storia promette di concedersi, emozionante e voluttuosa.

In questo viaggio carico di speranza, non a caso vi saranno oltre novemila ticinesi al fianco della formazione bianconera. Novemila. Nel 2016, quando un’insostenibile amarezza aveva fatto il paio con il grigiore sopra il Letzigrund, non si era andati oltre le 6.500 unità. Ma rispetto a quella finale, lo ribadiamo, il Lugano si presenta a Berna in condizioni molto differenti. Senza il fiatone per aver appena salvato la massima categoria e con un gruppo di calciatori oggettivamente più attrezzato e maturo. Di più: la particolarità del contesto ridimensiona addirittura la figura sacra di Zdenek Zeman, all’epoca sì capace di raggiungere due obiettivi con del materiale umano mediocre, senza però mai vestire i panni del trascinatore. Quelli che Mattia Croci-Torti, invece, ha imparato a indossare con personalità. Caricandosi sulle spalle un’intera comunità, convincendola che i desideri proibiti – se ci si crede visceralmente – possono anche essere soddisfatti. Chiamatela follia o luccicanza, l’importante è che al Wankdorf si scorga negli occhi di tutti i luganesi. Affamati di impresa e lacrime di gioia.

Accadesse per davvero, l’anticipo sul destino avrebbe tra l’altro del clamoroso. Certo, la Coppa è la culla dell’imponderabile. Non bisogna tuttavia dimenticare che, solo dodici mesi fa, il club si apprestava a claudicare sull’orlo del burrone. Ignaro o quasi dei brividi societari all’orizzonte, così come del salvifico intervento della nuova e inedita proprietà Mansueto. L’encomiabile lavoro svolto sino a quel momento, fortunatamente, è stato raccolto e rilanciato con le migliori intenzioni. Scommettendo forte su un allenatore in erba, «vün di noss» terrebbe a sottolineare qualcuno. Un po’ internazionale, un po’ nostrano, a poco a poco il Lugano ha conquistato il cuore della gente. Elettrizzata, incredula anche, di fronte al prodigio realizzato al penultimo atto. Quando è stato inebriante invadere il manto verde di Cornaredo, al grido «finale, finale, finale!». Ora, però, dai binari 1 e 3 scatta la parte più bella di questo magnifico viaggio. E a noi torna alla mente il mago di Oz e il suo regno. Dove si rischia molto, ma si ottiene ancora di più.

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