L'opinione

Nazionale femminile, oltre l’entusiasmo serve ambizione: proprio come con gli uomini

Euro2025 ha acceso emozioni e partecipazione - Ma la sconfitta con la Spagna mostra che, se il calcio femminile vuole crescere davvero, deve imparare a convivere anche con aspettative, critiche e rigore professionale
Mattia Sacchi
20.07.2025 09:30

C’è stato entusiasmo, ed è giusto che ci sia stato. C’è stata partecipazione, e anche questo è un bene. Euro2025 ha offerto alla Svizzera uno spettacolo sportivo di primo piano, portando il calcio femminile a un livello di visibilità e coinvolgimento senza precedenti. Gli stadi pieni, le marce dei tifosi, le famiglie sugli spalti: momenti belli e genuini, che resteranno. Ma qualche giorno dopo l’eliminazione contro la Spagna – netta, meritata, senza appello – è tempo anche di guardare con lucidità alla prestazione della nazionale rossocrociata. Perché se davvero questo movimento vuole crescere, deve imparare anche a pretendere di più da sé stesso. Proprio come accade, senza troppi filtri, con la nazionale maschile.

Contro le campionesse del mondo, semplicemente, non c’è stata partita. La Svizzera ha resistito per un’ora, con coraggio e ordine, ma mai dando l’impressione di poter davvero impensierire le iberiche. È stato un confronto impari sotto il profilo tecnico, tattico e fisico. Un gap che non può essere archiviato con la sola ammirazione per averci provato. Se lo scorso anno gli uomini, contro un’Inghilterra altrettanto forte, avessero giocato una partita così passiva – anziché essere sconfitti solo ai rigori, dopo aver sfiorato più volte la vittoria – si sarebbe parlato di occasione sprecata, di limiti strutturali, forse persino di fallimento. E in parte, comunque, lo si è fatto. Le donne, invece, vengono salutate con un grande applauso. Meritato, sì. Ma incompleto.

Questa differenza di trattamento riflette due verità: da un lato, il calcio femminile elvetico non è ancora abituato ad essere giudicato con gli stessi criteri di quello maschile. Dall’altro, questo stesso approccio indulgente rischia di diventare un freno alla crescita. Perché se tutto è comunque un successo, se ogni uscita è comunque una vittoria morale, se il solo partecipare basta a far festa, allora diventa difficile fare il salto di qualità. L’orgoglio non deve mai mancare. Ma deve convivere con l’ambizione.

Detto ciò, è anche vero il contrario: il calcio maschile, troppo spesso, si lascia imprigionare dal risultato, dimenticando il valore del percorso. E qui la lezione del femminile è preziosa. Perché, a prescindere dall’eliminazione, Euro2025 ha davvero segnato un cambiamento. Ha costruito un nuovo pubblico, coinvolto territori, attirato investimenti, acceso emozioni inedite. Ha creato memoria collettiva. E, forse, ha spostato più in avanti l’asticella della normalità.

La Svizzera femminile non ha vinto. Ma ha mostrato chi può diventare. Ora serve che tutto ciò non resti un’eccezione legata all’effetto Europeo in casa, ma l’inizio di un progetto solido. Che le migliori giochino in club competitivi. Che i club svizzeri puntino sul femminile non per dovere, ma per convinzione. Che le critiche diventino possibili, senza paura di incrinare l’entusiasmo. E che il professionismo per le calciatrici non sia più un obiettivo da rivendicare, ma una realtà strutturata e sostenibile. Perché solo dando alle atlete le stesse condizioni, risorse e tutele dei colleghi uomini si potrà chiedere – e ottenere – lo stesso livello di performance.

In quest’ottica, non si possono ignorare episodi come la pesante sconfitta per 7-1 in amichevole contro l’Under 15 maschile del Lucerna. Non tanto – o non solo – per il risultato in sé, quanto per il modo in cui è stato gestito. Prima tenuto nascosto, poi minimizzato, quasi fosse un dettaglio irrilevante, infine derubricato a “esperimento tattico” una volta che la notizia è trapelata sui social. È mancata trasparenza. Ed è mancata, soprattutto, quella professionalità comunicativa che – giustamente – viene pretesa quando si tratta della Nati maschile. Perché anche nella gestione dell’immagine e del racconto serve maturità. Il professionismo inizia dalla mentalità: se si vuole competere con le grandi, non si può scendere in campo senza orgoglio nemmeno nelle amichevoli.

Solo così il movimento sarà davvero adulto. Solo così, la prossima volta, contro una Spagna, potremo non solo sognare il miracolo. Ma costruirlo.

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