Detto tra noi

Le aberrazioni del «politically correct»

Oggi come oggi, la sensazione che la correttezza ad ogni costo possa diventare dannosa si fa sempre più forte.
Mauro Rossi
31.03.2023 06:00

Fino a qualche tempo fa, di fronte a certe assurdità, mi irritavo. Ora, purtroppo, è subentrata una certa rassegnazione accompagnata, il più delle volte, da una risata amara. Mi riferisco al «politically correct» e alla «cancel culture», due correnti dominanti e stravolgenti della società contemporanea (quella americana in primis ma anche la nostra, pronamente a suo rimorchio) che stanno stravolgendo e distorcendo tutto, generando grande confusione e pericolosissime derive. Se inizialmente gli intenti dei sostenitori del «politically correct» potevano essere lodevoli, ossia evitare di utilizzare termini ed espressioni che potessero in qualche modo ferire qualcuno, oggi la situazione è talmente degenerata da rasentare l’aberrazione. Già perché con il fatto che non si può più dire nero per non offendere i neri, bianco per non offendere i bianchi, che sia considerato riprovevole chi scherza sull’uomo che scivola su una buccia di banana (l’archetipo dell’umorismo) in quanto offensivo sia nei confronti di chi nella vita è rimasto vittima di una caduta sia delle banane e dei loro coltivatori, che non sia sostanzialmente lecito ironizzare su alcunché senza correre il rischio di essere messi all’indice in quanto potenzialmente irriguardosi nei confronti di qualcuno o qualcosa, si è instaurata una sorta di pericolosa censura non solo alla libera espressione ma addirittura all’arte e allo spettacolo. Oggi fare satira, ad esempio, è quasi impossibile (e infatti i nuovi esponenti del settore non fanno ridere neppure i polli mentre quelli storici debbono tutti arrampicarsi sui vetri per sopravvivere nonostante la realtà offra un numero talmente ampio di cose sulle quali scagliarsi da foraggiare intere generazioni di comici), così come è diventato proibitivo concepire film come quelli che resero grande la «commedia italiana», ma anche esporre tesi, argomentazioni e scrivere cose che osano scalfire determinati nuovi dogmi. Per non parlare di quanto sta accadendo nel campo della letteratura, ossia l’avviata revisione di testi del passato in modo da eliminare quegli elementi al loro interno che possono offendere qualcuno o qualcosa. In questo caso si tratta di operazioni che rasentano addirittura la falsificazione: ogni autore che si rispetti (e Roald Dahl e Agatha Christie – gli ultimi in ordine di tempo vittime di questa operazione – vanno considerati tali) sceglie infatti con cura, se non con maniacalità ogni singola parola, ogni espressione. Per cui cambiargliela significa falsificare la sua opera, il suo pensiero e, spesso, cambiare addirittura il senso dello scritto in quando testimonianza di un’epoca, di una situazione, di un contesto con i suoi usi e, ovviamente, un suo linguaggio. Si tratta, insomma, di operazioni pericolose che riscrivono in maniera tendenziosa il passato. Di fronte al quale le nuove generazioni rischiano di ritrovarsi nude, come quel «pornografico» David scolpito da quel grandissimo maialone del Buonarroti...

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