Detto tra noi

Comunicazioni bulimiche e compulsive

Breve riflessione su come la tecnologia talvolta non faccia affatto risparmiare del tempo, ma sembri essere più un intralcio che altro
Mauro Rossi
21.04.2023 06:00

Mi è capitato di assentarmi dall’ufficio per tre giorni, durante i quali ho tralasciato di consultare la mia casella di posta elettronica aziendale. Al ritorno la sorpresa: nel settore «posta in arrivo» comparivano ben 716 messaggi da leggere. Ripeto: settecentosedici messaggi che, sopravvissuti ai filtri del nostro antivirus (quello che fortunatamente elimina automaticamente le missive di avvocati nigeriani che promettono eredità milionarie, di giovani fanciulle che attratte dalla mia avvenenza si augurano di instaurare profonda amicizia, di venditori di miracolose pillole azzurre a poco prezzo nonché delle più disparate offerte pubblicitarie) richiedevano di essere visualizzati, analizzati, consultati o cancellati: operazione che prevedendo almeno una quindicina di secondi per ogni messaggio, ha necessitato di oltre un’ora e mezzo di tempo. Buttato, sprecato, rubato alla normale attività quotidiana. Una situazione questa non così infrequente: non fosse che la posta elettronica la possiamo controllare anche sul telefonino, da noi consultato quasi compulsivamente durante ogni momento del giorno e della notte provvedendo a liberarla in continuazione, quasi ogni giorno ci troveremmo nella spiacevole situazione di dover destinare una considerevole parte del nostro tempo a sbrigare questa incombenza… Insomma quella che con l’introduzione delle email sembrava una rivoluzione in grado di semplificare la nostra vita, eliminando costi, tempi d’attesa, carta, postini e quant’altro, si sta rivelando un vero e proprio boomerang. Già perché con la scusa che inviare un messaggio di posta elettronica non ha costi (cosa assolutamente non vera – un autorevole studio francese ha infatti stimato che ogni singolo messaggio di posta elettronica produce 4 grammi di Co2 che possono aumentare fino a 50 nel caso di allegati particolarmente «pesanti»)  negli ultimi anni si è sviluppata una sorta di bulimica comunicativa digitale, con gente che ricorre ad essa in ogni occasione (qui mi riferisco alle email ma analogo discorso potremmo fare per ogni altro sistema di messaggistica digitale in uso) spesso per cose assolutamente evitabili e i cui unici risultati sono far perdere prezioso tempo oltre ad aumentare in maniera esponenziale la bolletta elettrica del pianeta. Come rimediare a tutto ciò? Un sistema semplice ci sarebbe: un francobollo digitale da pagare obbligatoriamente ad ogni utilizzo di internet o di comunicazione digitale. Basterebbe una cifra minima, apparentemente irrisoria, che però avrebbe il potere di frenare la dilagante comunicazione compulsiva, rendendo ciascuno più consapevole del proprio operato, la grande Rete un po’ meno intasata e noi finalmente un po’ più liberi. Se poi si decidesse pure di istituire una «patente» obbligatoria pe la frequentazione di Internet e dei social media, forse il mondo diventerebbe un posto migliore in cui vivere...

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