Detto tra noi

Quelle strane contemporanee contraddizioni

Una riflessione sulle dinamiche della nostra società tra settore terziario e «Infotainment»
Mauro Rossi
20.01.2023 06:00

Leggevo sul nostro giornale un paio di giorni fa un articolo sull’ottima tenuta del mercato del lavoro nel nostro Paese e di come, nonostante la difficoltà economico-finanziaria globale provocata dagli eventi dell’ultimo triennio, la richiesta di manodopera continui ad essere alta. Una buona e rassicurante notizia. Che è accompagnata da una considerazione, apparentemente scontata ma che conferma come nell’universo lavorativo le cose siano radicalmente cambiate rispetto a tempi ancora abbastanza recenti. Mi riferisco al fatto che, in pressoché ogni campo, si cerchino sempre più lavoratori qualificati ai quali non sono richieste particolari doti fisiche bensì mentali. Le ragioni sono evidenti: siamo ormai definitivamente passati da un’economia basata sulla produzione di beni (la cosiddetta economia primaria e secondaria) a quella di servizi (il terziario) che richiede un numero maggiore di tecnici e di specialisti che di operai. Operai che, comunque, al giorno d’oggi debbono avere un grado di competenza decisamente più elevato rispetto ai loro omologhi del passato in quanto buona parte delle procedure sono automatizzate, computerizzate. Il mondo del lavoro, insomma, necessita sempre meno di muscoli e sempre più di cervelli perché lo richiedono le sofisticate tecnologie con cui abbiamo a che fare ma anche perché la società va sempre più verso una strutturazione articolata e ramificata in cui il «business» – talvolta – bisogna inventarselo, possibilmente al di fuori degli schemi tradizionali, per cui è necessaria una grande intraprendenza ma anche e soprattutto una buona dose di materia grigia.

Eppure nonostante queste premesse che dovrebbero spingere verso un più marcato e costante apprendimento e una massiccia diffusione del sapere, ogni tanto capita di cogliere dei segnali che vanno invece in senso opposto. Sempre più spesso chi opera nel campo dell’informazione, della cultura ma anche dell’intrattenimento, tende infatti ad evitare argomenti impegnativi, non si cimenta più con tematiche complesse o che richiedano un elevato sforzo di comprensione, in quanto ritiene che il pubblico non voglia né perdere tempo né affaticarsi. Si preferisce insomma dare ampio spazio o alla futilità pura e semplice (l’imperante «gossip») oppure a quell’«infotainment» che sovente banalizza anche gli argomenti e le tematiche più serie. Il risultato è che in questo modo, a forza di preoccuparci di non affaticare troppo la mente della gente, la stiamo abituando a tenerla sin troppo a riposo, a non sollecitarla, stimolarla, allenarla. E questo proprio in un’epoca che, più di ogni altra, richiede a ciascuno di noi di tenerla più che mai in funzione, attiva, dinamica e pronta a recepire anche la più piccola sollecitazione.

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