«Ha sempre voluto ucciderlo e sperava di farla franca»

«Il disegno dell’imputato è sempre stato quello di uccidere e sperare di farla franca sostenendo di essersi soltanto difeso, come del resto ha fatto anche oggi. Ha collaborato poco o nulla all’inchiesta, con ricostruzioni fantasiose e improbabili, adattando di volta in volta le sue dichiarazioni a seconda di quello che emergeva». Con queste parole il procuratore pubblico Luca Losa ha ribadito la tesi dell’accusa nel processo d’Appello nei confronti del 53.enne svizzero di origini polacche che aggredì a mazzate un suo conoscente, un 60.enne italiano, per un debito di 25 mila franchi. «Ha ben pianificato l’assassinio, lo ha premeditato, ha scelto il luogo e l’arma del delitto, ha disattivato le telecamere di sorveglianza. Ha agito per pura cupidigia, con modalità subdole e perverse e con un movente ignobile. Voleva assassinare il suo creditore e non ci è riuscito per una pura casualità, solo perché un passante è intervenuto». Per queste ragioni Losa ha chiesto nei confronti dell’imputato la conferma della condanna a 13 anni e mezzo di carcere, già decisa in prima istanza, ritenendo il tentato assassinio per dolo eventuale.
La difesa prenderà la parola nel pomeriggio.
I fatti, lo ricordiamo, erano avvenuti il 4 febbraio 2022 in un magazzino nei pressi di una stazione di servizio lungo via Emilio Motta a Bellinzona, dove l’imputato lavorava. L’uomo, patrocinato da Maria Galliani, è comparso questa mattina davanti alla Corte di appello e revisione penale (CARP) presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will (a latere Federica Dell’Oro e Attilio Rampini). A sostenere l’accusa, come detto, il procuratore pubblico Luca Losa.
«Colpito a tradimento»
«La domanda attorno alla quale ruota tutto è una sola - ha proseguito Losa - cosa è davvero accaduto in quel magazzino? Bisogna decidere a quale dei due racconti credere, quello della vittima o quello dell’imputato». Imputato che ha detto, ricordando quella circostanza, di essere molto preoccupato e spaventato dal suo creditore che diventava sempre più insistente nelle sue richiese. «Ma allora perché lo ha condotto in un magazzino con i vetri oscurati e dopo aver disattivato le telecamere di sorveglianza?», ha domandato il pp. A mente dell’accusa, la versione fornita dalla vittima è sempre stata lineare, chiara, coerente e credibile. «Ha sempre detto di essere stato fatto entrare nel magazzino dall’imputato con la promessa dei soldi, dove poi è stato colpito alla testa con una mazza di legno, a tradimento mentre era girato di spalle. Contro di lui è arrivata una raffica di colpi al capo, anche quando si trovava a terra inerme e inoffensivo. Colpi che gli sono costati lesioni cerebrali profonde e una frattura della calotta cranica oltre alla rottura del polso, dato che la vittima cercava di proteggere come poteva la testa con le braccia».
«Strumentali cambi di versione»
«L’imputato invece ha sempre proceduto a degli strumentali cambi di versione e ritrattazioni, alternate con i soliti e comodi “non ricordo”», ha continuato Losa, descrivendo il racconto fornito dal 53.enne. «Dopo varie correzioni del tiro, ha dichiarato di essersi solo difeso dopo che la vittima gli aveva messo le mani addosso al culmine di un alterco dovuto al debito. E che i due si trovavano uno di fronte all’altro, mentre lui stesso veniva raggiunto da calci e pugni. Ma questa versione risulta poco credibile. Appare davvero difficile credere all’imputato». Infine, ha aggiunto, «mentre la vittima era a terra in una pozza di sangue con la testa aperta, l’imputato ha deciso di cambiarsi i pantaloni perché erano sporchi di sangue». Un dettaglio non trascurabile secondo il pp: «Dopo essersi cambiato i pantaloni e credendo già morto il creditore, ha notato che questo era ancora vivo e quindi gli ha ancora assestato un ultimo colpo di mazza a mo’ di colpo di grazia. E questo è testimoniato dalle tracce di sangue presenti sul secondo paio di pantaloni». Non solo. «Una volta arrivata la polizia sul posto, l’imputato non ha minimamente menzionato la presenza della vittima gravemente ferita nel magazzino. Era convinto di averlo ucciso e sperava di poterla fare franca».
Bugie per prendere tempo
«Dopo quanto successo sono stato incriminato e il mondo mi è caduto addosso. Avevo paura di tutto, di finire in carcere per tanto tempo. Per questo ho mentito e mi sono contraddetto, avevo paura di dire che dovevo dei soldi alla vittima. Non sapevo cosa mi sarebbe successo, quindi cercavo di deviare dalla realtà», ha dichiarato dal canto suo l’imputato ricostruendo i fatti davanti alla Corte, incalzato dalle domande della giudice durante la fase dell’istruttoria dibattimentale. «Tiravo avanti un giorno alla volta, inventavo scuse», ha proseguito raccontando i giorni precedenti all’aggressione. Il 53.enne non disponeva più della cifra che doveva al creditore (derivante dalla vendita di un furgone) e quest’ultimo stava diventando sempre più insistente nelle sue richieste. «Cercavo di tenerlo calmo, ma non sapevo come uscirne. Non avevo i soldi ma gli dicevo lo stesso che glieli avrei restituiti, rimandando giorno dopo giorno prendendo tempo. Mi stavo arrampicando sui vetri, non sapevo più cosa fare».
«Volevo solo difendermi»
«Ho solo cercato di difendermi», ha continuato a ripetere l’imputato. «Vedevo che quel giorno il mio creditore era molto arrabbiato ed ero preoccupato per la mia incolumità, mi ha detto: “Dammi i soldi o finisce malissimo”. Erano anche già arrivate minacce di morte e aveva detto che avrebbe dato fuoco al negozio della mia compagna». Durante l’incontro – ha ribadito il 53.enne – «volevo solo chiarirmi, ma lui ha iniziato a mettermi le mani addosso spingendomi e allora ho reagito. Ci siamo azzuffati e lui era molto più forte di me fisicamente. Ero in uno stato di confusione, ho preso la mazza che era lì vicina per difendermi e ho colpito a casaccio mentre lui continuava a sferrare pugni calci e sberle. Ho dei ricordi confusi di quei momenti».