L'approfondimento

Ottobre 1989: le prime crepe nel Muro di Berlino

Si dice spesso che i regimi dell’Europa orientale cadono, tra il 1989 e il 1991, perché i popoli aspirano alla libertà: ma è una mezza verità
© German Federal Archive
Luca Lovisolo
07.11.2025 11:33

Il Muro di Berlino resta per 28 anni simbolo della divisione della Germania e dell’Europa. La notte in cui sorge l’abbiamo ricordata in un precedente articolo. Qui cominciamo a raccontare la sua fine, tra ottobre e novembre 1989, quando a capo della Germania est siede da ormai 18 anni Erich Honecker.

Perché cadono i regimi dell’Est

Si dice spesso che i regimi dell’Europa orientale cadono, tra il 1989 e il 1991, perché i popoli aspirano alla libertà. È una mezza verità. Popoli interi hanno sopportato regimi opprimenti per decenni. Quando una dittatura garantisce condizioni economiche e un ordine sociale sopportabili, trova sempre i suoi difensori: a chi si adegua, obbedire non dispiace, semplifica la vita; gli oppositori restano una minoranza, finiscono in galera, ma i più diranno che «se la sono andata a cercare».

Non tutti percepiscono la libertà come un bene essenziale e ancor meno rinunciano al quieto vivere per difenderla. In Germania est, centinaia di migliaia di cittadini collaboravano con il regime, spiavano i loro vicini di casa, persino i familiari più stretti, per riferire al governo ogni cosa.

La molla della libertà

Nei mesi che precedono la caduta del Muro, a Berlino est mancano le banane. In Germania orientale, alla fine degli anni Ottanta, la mancanza di banane diventa il paradigma della carenza di alimentari, vestiti, automobili che aveva già motivato la rivolta del 1953.

Scelta e qualità dei prodotti non sono paragonabili a quelle occidentali. Negli anni Ottanta, la tecnologia e il design delle automobili della Germania est sono indietro di vent’anni e forse più, rispetto all’Occidente.

È indispensabile vestire alla moda, guidare un'auto moderna? Ci sono cose non indispensabili che fanno la differenza, in una vita. Essere liberi di scegliere un vestito e un’auto, cosa cucinare a pranzo e quale scuola frequentare, se lavorare in proprio o come impiegato non sono vizi borghesi, sono modi per manifestare la propria personalità.

Un governo può motivare un popolo a rinunciare a beni elementari, per un certo tempo, in nome di un ideale politico. Poi, le delusioni continue, la penuria di oggetti anche superflui ma desiderati, stufano. Sono queste mancanze, che fanno scattare la molla della rivolta e spodestano i regimi dell’Est; non la ricerca astratta della libertà, ma la voglia di tante cose che… fanno la felicità, per dirla con parole banali ma concrete. Allora, anche chi non era disposto a lottare per la libertà si risveglia dal quieto vivere.

Le elezioni falsificate, scoppia l’indignazione

Nel 1985 Michail Gorbačëv sale a capo dell’Unione sovietica. Da quel momento i cittadini della Germania est sono attratti da due calamite: da una parte, la Germania ovest, con il benessere di una società aperta che cresce grazie a governi guidati da cancellieri di grande abilità; dall’altra, Gorbačëv, che fa sperare in una vita migliore tutto l’Est Europa.

Il 7 maggio 1989 in Germania est si tengono le elezioni locali. I candidati sono imposti dal Partito socialista unitario (SED), «il Partito» per antonomasia; chi rifiuta di confermarli può essere scoperto, violare il segreto elettorale è facile. Eppure, questa volta la popolazione rigetta i candidati in percentuale molto più alta del solito.

In Germania est la legge permetteva ai cittadini di essere presenti nei seggi durante lo spoglio delle schede. Molti sentono puzza di bruciato, si organizzano in gruppi e presenziano la quasi totalità dei seggi. Il confronto tra i numeri che emergono dal conteggio dei cittadini e quelli pubblicati dalle autorità è impietoso: per nascondere il malumore della cittadinanza, il governo ha falsificato i risultati. La notizia serpeggia, la rabbia aumenta.

Le fughe e le «manifestazioni del lunedì»

Il numero di tedeschi orientali che tenta di fuggire cresce con l'avvicinarsi dell'estate. Tante giovani famiglie che cercano un futuro migliore per i loro figli fingono di partire per le vacanze verso l'Ungheria e la Cecoslovacchia, ma in realtà vogliono abbandonare il Paese. L’undici settembre 1989 Budapest apre le frontiere e lascia uscire decine di migliaia di tedeschi dell’Est verso Occidente.

Cominciano le «manifestazioni del lunedì» e nasce il Neues Forum, un movimento che raccoglie cittadini, attivisti e intellettuali per organizzare la protesta e chiedere la riforma dello Stato. Le manifestazioni dilagano da Lipsia a molte città e si estendono ad altri giorni della settimana. Sono celebri per lo slogan: Wir sind das Volk – «Noi siamo il popolo» – o, se lo traduciamo meglio: «Il popolo siamo noi».

Queste parole hanno un significato più profondo dell’apparenza. I regimi comunisti facevano continuo abuso della parola popolo: in Germania est la polizia si chiamava Volkspolizei, polizia del popolo; l'esercito Volksarmee, esercito del popolo; il parlamento Volkskammer; Camera del popolo. Lo slogan «Il popolo siamo noi» non esprime solo la protesta contro il regime, ma la volontà di riappropriarsi di questa parola, sequestrata dall’ideologia.

Gli accampati di Praga, il disprezzo di Honecker

Intanto, quattromila di cittadini della Germania est si accalcano nell'ambasciata della Germania ovest a Praga. Restano per settimane accampati all’interno e nel cortile. Finalmente si trova l’accordo: l’allora ministro degli Esteri della Germania occidentale, Hans Dietrich Genscher, annuncia dal balcone dell’ambasciata che possono fuggire all’Ovest. Prima che il ministro finisca l’annuncio, la folla di accampati esplode in un urlo di gioia.

Accade allora un fatto che sblocca la macchina intorpidita del potere, a Berlino est. Honecker tiene un discorso pieno di disprezzo per i quattromila che lasciano il Paese attraverso Praga e dice: «Non dobbiamo piangere una sola lacrima, per quelli che se ne sono andati».

Come può un capo di Stato mostrare tanta indifferenza, verso migliaia di cittadini che rischiano la vita, abbandonano le loro case e i loro beni, pur di fuggire? La frase di Honecker lascia senza parole anche i funzionari più fedeli.

L’astro nascente del regime, Egon Krenz

Tra questi c'è Egon Krenz. Da tempo è il secondo uomo della Germania est, il collaboratore più stretto di Honecker, gli è legato anche da amicizia personale. Krenz capisce che il suo superiore ha perso del tutto il già labile contatto con la realtà. È tempo di agire.

Il 7 ottobre 1989 si tengono le celebrazioni per i quarant'anni dalla fondazione della Germania est (1949-1989). Partecipa anche Gorbačëv. Parlando per strada con i cittadini, a Berlino est, cita un proverbio: «La vita punisce chi arriva troppo tardi». Nell’originale russo la frase è un po’ diversa, il traduttore e i media l’hanno sintetizzata ed è passata alla storia in questa forma, casuale ma efficace.

Nella stessa giornata Gorbačëv prende parte a una seduta celebrativa del Partito della Germania orientale. Non suggerisce a Honecker ciò che dovrebbe fare, ma il suo intervento è una manifesta incitazione ad affrontare il cambiamento anche a Berlino est.

Honecker prende la parola e, rabbioso, risponde a Gorbačëv che non accetta lezioni; in Germania est non ci sono problemi e non servono riforme. Günther Schabowski, alto funzionario del Partito, ricorda che Honecker, di carnagione pallida, per la collera verso Gorbačëv diventa rosso come un peperone, pronunciando quelle parole.

La partenza di Honecker, la fine di un regno

Pochi giorni dopo, il Partito costringe Honecker alle dimissioni. La motivazione ufficiale, come spesso accadeva all’Est, è il peggioramento della sua salute, ma Honecker è davvero malato. Dice una cosa giusta, in quel frangente: potete cacciare me, ma i problemi restano e ora toccano a voi.

Alla sua poltrona sale Egon Krenz. Tra i primi atti che compie c’è un incontro con Gorbačëv, a Mosca. La Germania est è sull’orlo del baratro: la disastrosa politica socioeconomica lanciata da Honecker nei primi anni Settanta ha toccato il fondo. La Ostpolitik, inaugurata vent’anni prima da Willy Brandt, ha portato distensione in Europa, ma non ha migliorato la vita dei tedeschi orientali. Krenz chiede aiuto Gorbačëv, ma non ne riceve quanto spera.

Tutti sanno, anche Krenz, che senza l’Unione sovietica la Germania est non sopravviverebbe un giorno. Allora si rivolge a Gorbačëv così, lo ricorda Krenz stesso in molte interviste: «Michail, voi sovietici vi sentite ancora responsabili verso la Germania est?». Gorbačëv: «Egon, come puoi pensare una cosa simile! Per noi, dopo i popoli dell'Unione sovietica, il popolo della Germania est è il più caro!». Krenz si tranquillizza. Nella conferenza stampa che tiene a Mosca, dopo l’incontro, appare addirittura entusiasta.

Il «principe ereditario» non scalda i cuori

In Germania est, però, le proteste e le fughe verso Occidente continuano. Krenz segna l’ascesa al potere della nuova generazione di dirigenti, ma per tanti non è che il «principe ereditario» di un regime alla frutta. Nelle piazze di Berlino est, Dresda, Lipsia, i comizi degli uomini dell’apparato raccolgono bordate di fischi.

Krenz comincia a lavorare a un piano di riforme, vuole diventare il Gorbačëv della Germania est. Nessuno immagina che il Muro di Berlino cadrà e ancor meno che le due Germanie si riuniranno. Eppure, un mese dopo il muro crollerà e la riunificazione si compirà prima di un anno. Come, lo vedremo nei prossimi e ultimi due articoli di quest’anno.

Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui. Per leggere la terza puntata clicca qui. Per leggere la quarta puntata clicca qui. Per leggere la quinta puntata clicca qui. Per leggere la sesta puntata, clicca qui. Per leggere la settima puntata, clicca qui.  Per l'ottava puntata, clicca qui. Per la nona puntata, clicca qui.

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