«Voleva uccidere e farla franca», «No, è stata una lite esasperata»

«Il disegno dell’imputato è sempre stato quello di uccidere sperando di farla franca dicendo di essersi soltanto difeso. Ha continuato a mentire, fornendo ricostruzioni fantasiose, adattando di volta in volta le sue dichiarazioni». Con queste parole il procuratore pubblico Luca Losa ha ribadito la tesi dell’accusa nel processo d’Appello nei confronti del 53.enne svizzero di origini polacche che aveva aggredito a mazzate un suo conoscente, un 61.enne italiano, per un debito di 25 mila franchi. «Ha ben pianificato l’assassinio, lo ha premeditato, ha scelto il luogo e l’arma del delitto e disattivato le telecamere di sorveglianza e ha attirato la vittima con l’inganno. Ha agito per pura cupidigia, con modalità subdole e perverse e con un movente ignobile. Voleva assassinare il suo creditore e non ci è riuscito per una pura casualità, solo perché un passante è intervenuto».
Pena detentiva
Per queste ragioni Losa ha chiesto nei confronti dell’imputato la conferma della condanna a 13 anni e mezzo di carcere, già decisa in prima istanza, ritenendo il tentato assassinio per dolo eventuale. Di parere opposto la difesa, che ha chiesto una condanna ad un massimo di 6 anni e mezzo (leggermente di più rispetto alla prima istanza, dove il massimo era 5 anni), ritenendo il tentato omicidio per dolo eventuale in stato di eccesso di legittima difesa putativa. I fatti, lo ricordiamo, erano avvenuti il 4 febbraio 2022 in un magazzino nei pressi di una stazione di servizio lungo via Emilio Motta a Bellinzona, dove l’imputato lavorava. L’uomo, patrocinato dall’avvocato Maria Galliani, è comparso oggi davanti alla Corte di appello e revisione penale presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will (a latere Federica Dell’Oro e Attilio Rampini). La sentenza è prevista nelle prossime settimane.
Un’unica versione
A mente dell’accusa, c’è un’unica versione credibile per ricostruire quanto realmente accaduto in quel magazzino il giorno dell’aggressione: quella della vittima. «Che è sempre stata chiara, lineare e credibile. Al contrario dell’imputato che ha mentito e ritrattato». Mentre il 61.enne «ha detto di essere stato fatto entrare nel magazzino con la promessa dei soldi, dove poi è però stato colpito alla testa con una mazza di legno, a tradimento mentre era girato di spalle. È stato raggiunto da una raffica di colpi al capo, anche quando si trovava a terra inerme e inoffensivo. Ne ha riportato lesioni cerebrali profonde e una frattura della calotta cranica oltre alla rottura del polso, mentre cercava di proteggere come poteva la testa».
«Una vita rovinata»
«Il mio assistito non si sarebbe mai aspettato di subire un attacco tanto brutale quanto imprevisto da quello che riteneva un amico», ha spiegato l’avvocato Marco Masoni, rappresentante dell’accusatore privato. «Ancora oggi porta le conseguenze fisiche e psichiche dell’attacco, ha dovuto sottoporsi ad una nuova operazione chirurgica di recente. Non riesce nemmeno a uscire da solo. La sua vita è stata rovinata».
«Sentenza ingiusta»
«Ci stiamo confrontando con una sentenza di primo grado che riteniamo ingiusta», ha esordito l’avvocato Galliani nella sua arringa difensiva. «È ingiusto il ritratto dell’imputato che, fino a quel momento, non era mai stato violento. Ha cercato di risolvere le cose con il dialogo, al massimo con le bugie, ma mai passando all’atto. Anche quando i problemi con il suo creditore si sono esacerbati, ha cercato di rimandare il problema». La difesa ha poi considerato vari punti della sentenza della prima Corte, ritenendola «ingiusta» poiché «non ha preso in conto elementi importanti e ha fatto propria l’ipotesi peggiore, ritenendo la premeditazione, anche se non vi sono prove e l’atto d’accusa non la ipotizzava. Inoltre, la vita della vittima non si è mai trovata concretamente in imminente pericolo». La pena secondo la legale «è oggettivamente smisurata alla luce dei fatti ritenuti e oggettivamente accertabili. Il mio assistito deve essere condannato sì, ma per quello che realmente ha fatto».
«Non era una trappola»
Ricostruendo quei drammatici momenti, Galliani ha evidenziato come non ci si possa basare sui racconti resi dai due uomini durante l'alterco che, secondo la difesa ha visto uno scontro reciproco. «Erano attimi concitati e confusi, non è possibile ricostruire con certezza oggettiva la dinamica della scena in movimento, le posizioni dei protagonisti e la sequenza dei colpi». Inoltre, sempre a mente della difesa, «quel giorno il creditore era particolarmente nervoso e insistente, tallonava l’imputato. Rivoleva comprensibilmente i suoi soldi ed è arrivato alle minacce. È sbagliato dire che il mio assistito abbia attirato con l’inganno la vittima in quel magazzino, non era una trappola».
Infine, l’ultima parola è spettata all’imputato: «Vorrei chiedere scusa alla vittima, mi dispiace tanto per la sua famiglia e anche per la mia. Non sono né violento né cattivo, stavo soltanto cercando di difendermi».









