Riunificazione tedesca: la Germania torna unita, il mondo resta diviso

Nel precedente articolo abbiamo lasciato il tenente Harald Jäger, l’ufficiale che apre i cancelli del Muro di Berlino in assenza di ordini superiori, mentre sfoga la rabbia di quei momenti in un ufficio della frontiera. Poco dopo, un suo sottoposto lo incalza: «Harald, allora è finita…». Jäger non capisce: «Ma cosa, è finita?». «La Germania est è finita, Harald».
Il milite prefigura nelle sue parole un evento che in quei giorni non immaginano neppure i maggiori governanti. Nessuno pensa che la Germania si riunificherà. Una Germania unita fa ancora paura: non era stata divisa per caso, alla fine della guerra. Non doveva più diventare pericolosa, com’era accaduto con Hitler. Dinanzi al crollo del Muro di Berlino, la notte del 9 novembre 1989, la posizione delle cancellerie occidentali si può sintetizzare così: bello che i tedeschi festeggino la fine del Muro, ma ora con la Germania che si fa?
Il clima di quelle ore lo ricorda chiunque abbia anni a sufficienza per aver vissuto la Guerra fredda. Ogni spillo che pungeva le relazioni tra Stati uniti e Unione sovietica faceva temere una terza guerra mondiale. La caduta del Muro di Berlino, in quel contesto, non è uno spillo, è una bomba.
La Germania est… alla frutta
Il nostro racconto delle prime crepe nel Muro era iniziato ricordando la carenza di banane, in Germania est, simbolo della condizione in cui versava la popolazione. La caduta del Muro è suggellata con un altro frutto: quando, nelle ore successive, tutti i dirigenti del mondo si sentono e si rassicurano sui fatti, l’allora cancelliere della Germania ovest, Helmut Kohl, tira un sospiro di sollievo e cita un proverbio tedesco: «Die Birne ist geschält», abbiamo sbucciato la pera. In italiano diremmo: ce la siamo cavata, il peggio è passato.
Egon Krenz, salito a capo della Germania est dopo la partenza di Erich Honecker, si era dato la missione di riformare lo Stato: inventarsi una nuova Germania socialista capace di sopravvivere in concorrenza con il sistema capitalista. Lo stesso progetto coltivato da Michail Gorbačëv in Unione sovietica.
Krenz ci prova, ma con la sua prima riforma, la nuova legge sui viaggi all’estero, lo Stato gli scoppia in mano come un palloncino. Deve dare ragione a sua moglie Erika: quando, appena giunto al potere, era tornato entusiasta dall’incontro con Gorbačëv al Cremlino, la signora Krenz aveva smontato le sue speranze con femminile pragmatismo: «Gorbačëv è un illuso, mi meraviglio che tu non lo capisca».
La storia non si fa con i se: verso la riunificazione
Krenz voleva essere il Gorbačëv tedesco e lo diventa davvero: commette lo stesso errore, pensa che sia possibile riformare lo Stato socialista. Lo riconosce, a voce bassa, nelle numerose interviste che rilascia negli anni successivi: «Avevo creduto che si potesse cambiare il sistema, che saremmo riusciti a riprendere il controllo. Se avessi detto con chiarezza che volevo occuparmi delle ansie della popolazione… Forse tutto ciò non sarebbe accaduto».
Cosa sarebbe successo non lo sapremo mai. Non si fa la storia con i se. Restano i fatti: oggi sulle cartine d’Europa c’è una sola Germania. Se nessuno pensava alla riunificazione, com’è stata possibile?
Frequentavo per lavoro, in quegli anni, un noto germanista e musicologo tedesco che diffidava della riunificazione, nei mesi in cui era ancora un’ipotesi. Motivava la sua sfiducia con il diverso sviluppo vissuto dalle due parti del Paese negli ultimi quarant’anni, ma anche con le differenze di cultura esistenti fra le regioni tedesche occidentali, più orientate verso l’Europa, e quelle della Germania est, costituitasi intorno alla Sassonia e a ciò che restava dell’antica Prussia.
Aggiungeva un’osservazione di cui ho poi trovato conferma in tutti i Paesi dell’Est: i regimi comunisti avevano frenato il progresso dei Paesi che avevano soggiogato, ma avevano anche serbato alcuni elementi di autenticità culturale europea, sottraendoli alle fauci della «way of life» statunitense che ha divorato l’Europa occidentale.
Due Germanie si scoprono diverse
Negli anni appena successivi alla caduta del Muro accompagnavo spesso come interprete, nelle filiali italiane dell’azienda di cui era impiegato, un esperto tedesco di contabilità, ormai alle soglie della pensione. Tra i numerosi aneddoti me ne raccontò uno che descrive la condizione di molti tedeschi della sua generazione: «Prima della guerra avevo un caro amico, abitavamo in città diverse. Finita la guerra, con la divisione della Germania io restai in Occidente, lui in Germania est. Ci scrivemmo ancora per qualche tempo, poi non ci capimmo più. La retorica del regime comunista lo aveva cambiato».
Tutti i tecnici, impiegati e dirigenti della Germania est a fianco dei quali mi accadeva di lavorare in quegli anni si rallegravano della fine regime; non nascondevano, però, che il confronto con la società occidentale, competitiva e fondata sulla responsabilità individuale, era, per loro, una sfida più esigente del previsto.
Queste e tante storie simili rendono palpabili i contrasti che deve sanare il processo della riunificazione tedesca, quando cade il Muro: due Germanie si rincontrano dopo essere vissute per quasi mezzo secolo immerse in due modelli sociali antitetici. L’una è diventata locomotiva dell’Europa occidentale; l’altra è collassata in economia, in politica e nel morale.
Potevano esistere ancora due Stati tedeschi?
Per capire come si giunge alla riunificazione bisogna capovolgere il quesito e chiedersi, piuttosto, che senso avrebbe avuto una Germania orientale indipendente da quella occidentale.
I cantoni della Svizzera tedesca fondano la loro diversità, rispetto al resto del mondo germanico, su una storia secolare di indipendenza e confederazione con le altre regioni linguistiche del Paese.
L’Austria nasce dal passato asburgico e da un’entità multietnica che si estendeva tra il Centro Europa e i Balcani.
Più difficile immaginare un destino autonomo per la Germania orientale, dopo secoli di storia comune con le regioni occidentali, pur nella frammentazione politica, e dopo la costituzione dell’Impero tedesco per mano di Bismarck, nel 1871.
La riunificazione diventa anche la cornice ideale in cui far affluire a Est le risorse necessarie per restituire vivibilità al territorio. Dalla Germania occidentale arrivano funzionari e imprenditori che all’Est appaiono spesso alieni e arroganti; portano, però, le capacità economiche e organizzative per ricostruire città e fabbriche ridotte al disastro.
Lo Stato tedesco orientale finisce davvero
La Germania est, la Repubblica democratica tedesca, cessa di esistere il 3 ottobre 1990; il suo territorio entra a far parte della Germania ovest, la Repubblica federale tedesca, per annessione volontaria.
L’immagine emblematica della sua fine è la malferma figura di Erich Honecker, suo despota per quasi vent’anni. Vecchio e malato, tra battaglie procedurali e salute in drastico peggioramento evita la condanna per i crimini commessi dal suo regime e si rifugia in Cile con la terza moglie, Margot. Ministra dell’istruzione della Germania est, più scaltra e istruita del marito, aveva condiviso con lui il comando alla guida dello Stato.
In Unione sovietica Gorbačëv traballa
Per Gorbačëv, nel 1990 ormai debolissimo in Unione sovietica, i negoziati per la riunificazione tedesca sono una camminata sul filo del rasoio.
Possiamo citarne qui un elemento che rivela più di altri tensioni e incertezze di quei mesi, riportandoci all’attualità. È diffusa l’affermazione secondo cui gli Stati uniti, durante i colloqui per la riunificazione, avrebbero promesso di non consentire ai Paesi dell’Est Europa l’accesso alla NATO. L’idea viene davvero messa sul tavolo per un certo tempo: l’intento, emerge dai documenti, è di offrire a un Gorbačëv fragilizzato argomenti da spendere di fronte ai suoi oppositori interni, per non rischiare che cada mentre l’Unione sovietica sembra avviata alla democrazia.
Si discute una riduzione del ruolo militare della NATO e il coinvolgimento dell’Unione sovietica in una nuova architettura europea di sicurezza, con la Germania riunificata, intorno all’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa (OSCE), affinché i Paesi dell’Est non temano più aggressioni da Mosca.
Dalla riunificazione tedesca alle guerre di oggi
Dall’anno seguente, però, molti imprevisti stravolgono il quadro: a fine 1991 l’Unione sovietica cessa di esistere; tra Russia e Stati ex sovietici si installano dinamiche inedite e incerte. Gorbačëv esce di scena, giunge al potere Boris Eltsin. La Russia diventa imprevedibile, nella politica e nelle accademie si fanno largo nostalgici e nazionalisti.
Nel 1996 a Mosca passa addirittura una mozione, poi revocata non senza fatica grazie a Eltsin, che chiede la ricostituzione forzosa dell’Unione sovietica. I buoni propositi per un nuovo ordine europeo non hanno più senso. I Paesi dell’Est premono per aderire alla NATO: hanno capito che la Russia sta tornando all’imperialismo e bisogna difendersene. I primi entrano nel 1999, al tramonto della presidenza Eltsin; altri seguono nel 2004, mentre si consolida il regime di Putin.
La richiesta di adesione alla NATO di Ucraina e Georgia viene respinta, per timore di irritare la Russia. È un errore fatale: saranno le prime, nel 2008 e nel 2014, a cadere vittime del revisionismo violento di Putin. Così, dai giorni felici della riunificazione tedesca, si arriva ai lutti delle guerre di oggi.
Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui. Per leggere la terza puntata clicca qui. Per leggere la quarta puntata clicca qui. Per leggere la quinta puntata clicca qui. Per leggere la sesta puntata, clicca qui. Per leggere la settima puntata, clicca qui. Per l'ottava puntata, clicca qui. Per la nona puntata, clicca qui. Per la decima puntata, clicca qui. Per l'undicesima puntata, clicca qui.
