Il reportage

«Il lupo non rischia niente, mentre noi rischiamo l'estinzione»

«Così non si può continuare»: c'è un misto di rabbia e rassegnazione nelle parole degli allevatori che devono fare i conti con gli attacchi del lupo in Valle Rovana - Li abbiamo incontrati
Martina Salvini
15.06.2022 06:00

Una quindicina di pecore con i loro agnellini, in una stalla buia. «Ecco, vedete? Vi pare normale che i miei capi debbano stare rinchiusi in piena estate, anziché liberi a pascolare?». Marco Frigomosca, allevatore di Cerentino, è infuriato. Ha subito tre predazioni nel giro di qualche mese, e finora ha perso una sessantina di animali. «Cosa dovrei fare? Lasciare che il lupo mi mangi anche gli agnelli?», chiede sconsolato. Ce l’ha con Berna, «per una legge senza senso». Ma, soprattutto, ce l’ha con Bellinzona. «Ci credono stupidi. Dopo l’ordine di abbattimento, i guardacaccia hanno avvistato il lupo ben quattro volte, eppure nessuno ha sparato un colpo. Si sono presentati con un elicottero per sorvolare la zona, giusto per poter dire di aver fatto qualcosa. Ho subito tre attacchi, il quarto lo farò io al lupo».

Rapporto secolare

Quassù, in Valle Rovana, il rapporto tra gli allevatori e il grande predatore è secolare. «Non è un caso, che l’alpe qui sopra si chiami Corte del lupo. Finora, però, non lo avevamo mai percepito così vicino», racconta Walter Della Pietra, per trent’anni impiegato delle Poste e presidente del patriziato. «Io stesso l’ho visto, lo scorso febbraio», assicura. In realtà, gli fa eco Cristina Della Pietra, curatrice del museo etnografico Walserhaus e proprietaria di un’azienda agricola, «da queste parti i lupi si sono probabilmente estinti nel XIX secolo. Ma già nell’Ottocento, era questione di vita o di morte: se i contadini perdevano il loro bestiame, ucciso dal predatore, rischiavano di morire di fame». Poi, però, il lupo è tornato. E con lui anche i problemi per il settore agricolo, che in queste zone è ancora fortemente predominante. E ora, tutti dicono: «La situazione è diventata insostenibile».

Non c’è ragione di ostinarsi. Negli anni, abbiamo gridato tanto, e ora abbiamo perso la voce. Che senso ha andare avanti così?
Eros Beroggi, allevatore

«Le abbiamo tentate tutte»

Eros Beroggi ha passato tutta la sua vita a Cerentino. «Qui ci sono la mia casa, la mia famiglia. Ma adesso non so più cosa fare», ammette. In questo periodo dell’anno, le sue 130 pecore sono in alpeggio. Dopo le predazioni, ogni giorno due ore di camminata per andare a controllarle. «Non posso più continuare così. Sopra - dice, mentre indica l’alpe - non sono al sicuro, qui sotto, però, soffrirebbero troppo». E tenerle chiuse in stalla, per lui non è un’opzione. «Guardarle rinchiuse spezza il cuore. Non è così che si fa il bene dell’animale: ha bisogno di pascolare libero, seguendo i ritmi della natura». Negli anni, Beroggi le ha provate un po’ tutte. Ha persino comprato un lama, che alcuni sostengono possa scoraggiare i predatori. «Si è integrato alla perfezione nel gregge, e appena avverte il pericolo corre a controllare». Finora, fatta eccezione per un attacco a inizio stagione, gli animali di Beroggi sono stati risparmiati. «Ho perso sei capi. Vedere le pecore sgozzate, i corpi degli agnelli sbrindellati e dispersi sul terreno, fa molta tristezza». E rabbia. «Perché il lupo non uccide per fame, ma solo per istinto. E lascia le carcasse senza neppure toccarle. La lince può rubare un capo, o due. Lo fa per cibarsene, ed è accettabile. Il lupo, invece, in pochi minuti può uccidere decine di capi, senza alcuna ragione». Mentre taglia l’erba alta dei prati, Beroggi indica valli e alture. Racconta del territorio impervio «e non recintabile, come hanno dimostrato anche gli studi». Parla del suo lavoro, tramandatogli dai genitori, e del futuro, «che ormai non esiste più». Sta pensando di abbandonare l’allevamento, Beroggi. «Non c’è ragione di ostinarsi. Negli anni, abbiamo gridato tanto, e ora abbiamo perso la voce. Che senso ha andare avanti così? Ai miei figli ho vietato di fare questo mestiere. Il lupo è così tutelato da non avere niente da temere. Noi allevatori, invece, siamo a rischio estinzione».

Gli indennizzi non sono tutto

In gioco, in queste vallate, non c’è solo la sopravvivenza di un settore, ma anche un’intera tradizione, che rischia di perdersi. «Seguiamo ancora il ciclo della natura: con il letame delle bestie concimiamo i campi, da cui poi prenderemo il fieno per nutrire i capi in inverno. Con il nostro lavoro, evitiamo anche che il bosco si prenda tutto il territorio. Quando arrivano qui dalla città, i turisti vedono un bel paesaggio, ma non hanno idea del lavoro che ci sta dietro». E poi ci sono le bestie. «Sì, riceviamo indennizzi in caso di predazione. Ma gli animali non sono solo soldi», dice Cristina. «È un po’ come per chi ha un cane. I miei animali li chiamo per nome. Io conosco loro e loro conoscono me, si fidano». Quando sale all’alpeggio, anche Beroggi non ha bisogno di controllare dove siano le sue pecore. «Semplicemente, le conosco. So esattamente dove trovarle». E a chi li accusa di non occuparsene a sufficienza, tutti replicano: «Non sanno di cosa parlano». «Mi sento sempre ripetere le stesse cose: perché non recintate? Perché non controllate? Un giorno ho chiesto a un conoscente di accompagnarmi sull’alpe e di seguirmi per una giornata. Gli ho mostrato tutto, e alla fine ha capito il mio punto di vista. Ma non posso certo farlo per tutte le centinaia di persone che ci danno addosso».

Ne risente anche il turismo

Tra Bosco Gurin e Cerentino, tutti, anche coloro che non si occupano di allevamento, non hanno dubbi: una convivenza con il lupo qui non è possibile. «Fosse per me, avrei già imbracciato il fucile», afferma un cliente dell’Osteria centrale. «Gestisco questo locale da più di sessant’anni - racconta invece Margherita - e non ho mai visto niente del genere. Sono tutti esasperati, e li capisco». Anche il turismo, sostiene, ne sta risentendo: «Qualcuno chiama per sapere se il lupo è stato avvistato, c’è preoccupazione. Lo vedete anche voi: qui in giro ormai non c’è più nessuno». Nonostante il periodo estivo, in effetti, si vedono passare pochissime auto. Qualche ciclista, giusto un paio di turisti confederati. Più frequentato, invece, il paese di Bosco Gurin. «Nel fine settimana - torna a raccontare Walter - arrivano gli escursionisti. Ma come facciamo a mandarli a passeggiare tranquilli, sapendo che non possono neppure bere l’acqua perché rischia di essere avvelenata dalle carcasse?». Sì, perché un altro dei motivi di malcontento verso il Dipartimento del territorio è proprio questo. «I guardacaccia si ostinano a non portare via le carcasse degli animali». E chi scende da lì, riferisce di un odore insopportabile. «Domenica, due turisti hanno rinvenuto alcuni capi predati. Non c’è dubbio, questa vicenda avrà ripercussioni sul turismo», prosegue Walter. «Tutto questo - aggiunge Frigomosca - soltanto perché i guardacaccia non intendono intervenire». Mentre mostra le foto delle bestie sbranate, racconta: «Dopo l’ennesima predazione, eravamo pronti a portare le carcasse davanti a Palazzo federale». Dopo gli appelli alle autorità, gli allevatori promettono ora una giustizia fai-da-te: «Si ostinano a non occuparsi del problema. E allora, dopo aver scaricato le pecore davanti a Palazzo delle Orsoline, cercheremo di fare lo stesso anche con il cadavere del lupo».

In questo articolo:
Correlati